Il libro
del mare o, Come andare a pesca di uno squalo gigante con un piccolo gommone
sul vasto mare di Morten A. Stroksnes
Nelle profondità del mare intorno
alle isole Lofoten vive il grande squalo della Groenlandia, un predatore
ancestrale nonché il vertebrato più longevo del pianeta. "Il libro del mare" è la storia vera
di due amici, Morten Strøksnes e un eccentrico artista-pescatore, che con un
piccolo gommone e quattrocento metri di lenza partono alla caccia di questo
temuto abitante dei fiordi. Un’avventura che diventa un caleidoscopico
compendio di scienze, storia e poesia dell’universo marino: dalle antiche
leggende dei marinai alla vita naturale degli abissi, dalla biologia alla
geologia e alle grandi esplorazioni oceaniche, dal Leviatano e i mostri
acquatici ritratti da Olao Magno nel ’500 alle specie incredibilmente reali di
meduse a trecento stomaci, draghi di mare e calamari «lampeggianti». Un viaggio
attraverso il Paleocene e gli odierni allarmi ecologici, che spazia dal Libro
di Giona al "Maelström" di Edgar Allan Poe, e racconta un mondo che
ci rimane in gran parte oscuro e che con i suoi misteri custodisce l’origine
della vita. Ma "Il libro del mare" è anche una riflessione sulla
storia dell’uomo, che è arrivato a mappare l’intero globo e a navigare tra le
stelle, eppure sembra conservare un’ossessione per il mito del mostro, forse
per un atavico istinto predatorio, o per la paura dell’ignoto che ancora oggi
il mare ci risveglia.
« Ho scritto un libro sull'oceano e su questa gente
perché il mondo non può diventare tutto uguale come se fosse un grande
aeroporto», dice Morten mentre la barca oscilla nel silenzio e intorno non c'è altro
che Nord.
“…Sull’aereo per Bodø
non ho fatto che guardare dal finestrino sotto di noi quello che ritenevo un
fondo di mare sollevato. Un paio di miliardi di anni fa la terra intera era
coperta d’acqua, forse con l’eccezione di alcune piccole isole lontane tra
loro. E ancora oggi il mare costituisce più del settanta per cento della
superficie terrestre. Qualcuno una volta ha scritto che il nostro pianeta non
dovrebbe chiamarsi Terra: dovrebbe semplicemente chiamarsi Mare. Sotto di me
sfilavano montagne, boschi e altipiani all’infinito, finché, arrivati a
Helgeland, la terra si è aperta in fiordi e in un mare ondulato che si
estendeva a ovest fino a dove la linea tra cielo e acqua si perdeva
all’orizzonte, in un grigio lucente che pareva fatto di piume di uccelli. Ogni
volta che lascio Oslo e vado a nord ho la sensazione di liberarmi:
dall’entroterra, da formicai, da abeti, da fiumi, dalle acque dolci e dal
gorgoglio delle paludi. Via, verso il mare, libero e infinito, ritmico e
cullante, come i vecchi canti dell’epoca dei velieri, che risuonavano
attraverso gli oceani fino a raggiungere i grandi porti del mondo: Marsiglia,
Liverpool, Singapore o Montevideo, mentre tutti in coperta afferravano le cime
per issare, bracciare o ammainare le vele…”
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