venerdì 11 agosto 2017

Il libro del mare o, Come andare a pesca di uno squalo gigante con un piccolo gommone sul vasto mare di Morten A. Stroksnes
Nelle profondità del mare intorno alle isole Lofoten vive il grande squalo della Groenlandia, un predatore ancestrale nonché il vertebrato più longevo del pianeta. "Il libro del mare" è la storia vera di due amici, Morten Strøksnes e un eccentrico artista-pescatore, che con un piccolo gommone e quattrocento metri di lenza partono alla caccia di questo temuto abitante dei fiordi. Un’avventura che diventa un caleidoscopico compendio di scienze, storia e poesia dell’universo marino: dalle antiche leggende dei marinai alla vita naturale degli abissi, dalla biologia alla geologia e alle grandi esplorazioni oceaniche, dal Leviatano e i mostri acquatici ritratti da Olao Magno nel ’500 alle specie incredibilmente reali di meduse a trecento stomaci, draghi di mare e calamari «lampeggianti». Un viaggio attraverso il Paleocene e gli odierni allarmi ecologici, che spazia dal Libro di Giona al "Maelström" di Edgar Allan Poe, e racconta un mondo che ci rimane in gran parte oscuro e che con i suoi misteri custodisce l’origine della vita. Ma "Il libro del mare" è anche una riflessione sulla storia dell’uomo, che è arrivato a mappare l’intero globo e a navigare tra le stelle, eppure sembra conservare un’ossessione per il mito del mostro, forse per un atavico istinto predatorio, o per la paura dell’ignoto che ancora oggi il mare ci risveglia.
« Ho scritto un libro sull'oceano e su questa gente perché il mondo non può diventare tutto uguale come se fosse un grande aeroporto»,                                                                    dice Morten mentre la barca oscilla nel silenzio e intorno non c'è altro che Nord.


“…Sull’aereo per Bodø non ho fatto che guardare dal finestrino sotto di noi quello che ritenevo un fondo di mare sollevato. Un paio di miliardi di anni fa la terra intera era coperta d’acqua, forse con l’eccezione di alcune piccole isole lontane tra loro. E ancora oggi il mare costituisce più del settanta per cento della superficie terrestre. Qualcuno una volta ha scritto che il nostro pianeta non dovrebbe chiamarsi Terra: dovrebbe semplicemente chiamarsi Mare. Sotto di me sfilavano montagne, boschi e altipiani all’infinito, finché, arrivati a Helgeland, la terra si è aperta in fiordi e in un mare ondulato che si estendeva a ovest fino a dove la linea tra cielo e acqua si perdeva all’orizzonte, in un grigio lucente che pareva fatto di piume di uccelli. Ogni volta che lascio Oslo e vado a nord ho la sensazione di liberarmi: dall’entroterra, da formicai, da abeti, da fiumi, dalle acque dolci e dal gorgoglio delle paludi. Via, verso il mare, libero e infinito, ritmico e cullante, come i vecchi canti dell’epoca dei velieri, che risuonavano attraverso gli oceani fino a raggiungere i grandi porti del mondo: Marsiglia, Liverpool, Singapore o Montevideo, mentre tutti in coperta afferravano le cime per issare, bracciare o ammainare le vele…”

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