Il volto
ritrovato di Wajdi Mouawad
Un commando dà fuoco a un autobus, le lamiere si arroventano,
la pelle dei passeggeri cola via e una donna dal volto velato e dagli arti di
legno, nata da quelle fiamme, divora la testa di un ragazzino. Testimone di
questa scena è Wahab, un bambino libanese che ha appena compiuto sette anni, e
che di lì a poco abbandona il suo paese. Si trasferisce in «un paese lontano e
piovoso», dove la vita trascorre normalmente fino al suo quattordicesimo
compleanno, un giorno molto importante per lui: Wahab improvvisamente non
riconosce più i volti della sorella e della madre, per lui sono due estranee.
Il tempo si inceppa, entra in una linea d’ombra nella quale tutto si disgrega e
si sfalda, come i corpi che da piccolo ha visto sciogliersi nell’attentato
terroristico in Libano. Wahab teme d’essere impazzito e decide di scappare di
casa. È l’inizio di un viaggio, di formazione e onirico insieme, durante il
quale incontrerà un mendicante che gli donerà la parola “pervinca”, scoprirà
che l’unica cosa che può sconfiggere una paura infantile è un’altra paura
infantile e, infine, giungerà in un atelier dove, diciannovenne, attraverso la
pittura cercherà di riappropriarsi del volto della madre.
L’universo di Mouawad è già tutto in questo suo primo romanzo: il trauma della guerra, la ricerca dolorosa dell’identità, la lotta contro i fantasmi dell’infanzia, la necessità di dire l’indicibile, la sublimazione nell’arte, la parola salvifica…
Un intreccio di temi, motivi ricorrenti, vere ossessioni che si ripresentano nel romanzo successivo, Anima. Con una prosa travolgente, che non lascia scampo, Mouawad si spinge fin nei più remoti recessi dell’inconscio e ne ritorna con una scrittura tanto travolgente quanto inquietante.
L’universo di Mouawad è già tutto in questo suo primo romanzo: il trauma della guerra, la ricerca dolorosa dell’identità, la lotta contro i fantasmi dell’infanzia, la necessità di dire l’indicibile, la sublimazione nell’arte, la parola salvifica…
Un intreccio di temi, motivi ricorrenti, vere ossessioni che si ripresentano nel romanzo successivo, Anima. Con una prosa travolgente, che non lascia scampo, Mouawad si spinge fin nei più remoti recessi dell’inconscio e ne ritorna con una scrittura tanto travolgente quanto inquietante.
“Guardo il ventre di mia madre, quel ventre che
si allunga e si distende per le ultime volte della sua breve esistenza. Guardo
il suo ventre. Non molto tempo fa, c’ero dentro. Lei mi ha portato dentro e mi
ha partorito cacciando le stesse urla che ora l’agonia le strappa dalle
viscere, e siccome io ho conosciuto le sue viscere, per un attimo divento
fratello dell’agonia. La vedo morire. Vedo il suo ventre morire. Non c’è più
niente che possa farmici entrare di nuovo, farmici ritornare. La storia è ormai
vecchia. Ho la sensazione che, assistendo alla sua morte, assisto anche alla
mia nascita. Stop! È adesso. Mia madre muore.”
Nato in Libano nel 1968, si è trasferito prima a Parigi e poi
a Montréal a causa della guerra scoppiata nel paese natio. Artista poliedrico,
Mouawad è al contempo scrittore, drammaturgo, regista e attore. In Francia e
nel Québec è considerato uno degli autori di teatro contemporanei più
importanti degli ultimi anni. Lo spettacolo Incendies è stato riadattato
a film, ottenendo la candidatura all’Oscar come miglior film straniero nel
2010. Il volto ritrovato è il suo esordio letterario. Nel 2015 è uscito
il romanzo Anima,
disponibile in biblioteca.
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