venerdì 11 agosto 2017

La grande estate : Sylvia Plath a New York, 1953 di Elizabeth Winder


Una cronaca, con testimonianze delle ultime sopravvissute, dei venti giorni di stage giornalistico che Sylvia, allora allieva del prestigioso Smith College, svolse, con altre diciotto ragazze e su severa selezione nazionale, presso la raffinata rivista «Mademoiselle», che patronizzava l’etichetta di eleganza mista a cultura per la giovane donna americana di allora proiettata, più che altro, verso un’etica di consumismo e conformismo: siamo nei fiduciosi, ‘silenziosi’ e subdoli anni cinquanta. Winder si propone di «smontare il cliché della Plath artista maledetta» e mostrare come ella fosse invece prodotto autentico «dell’America della metà del secolo». Nell’orgoglio provato per l’estate a New York, fra sfilate di moda, lavoro di redazione e mondanità, c’è una parvenza della vita da vincente che Sylvia ambiva a costruire per sé. Sylvia, artista in nuce e «consumatrice», nel 1953 appare immersa in quello slancio che lei non scinde dalla cultura del benessere del suo paese, e nelle «bamboline di carta» fabbricate da «Mademoiselle», alla cui redazione viene eletta per fare praticantato, ella s’identifica: cosmetici, biancheria intima, lusso e cibo sofisticato le procuravano un autentico piacere; un abito nuovo le dava «una vertigine di felicità»; una lista di acquisti era per lei «una lista di poesia»; la contiguità con stelle del cinema l’affascinava; l’incontro con celebri letterate la esaltava. Ma l’estate a New York, testimoniata da fotografie di Hermann Landshoff, che la immortalano nel ruolo di collegiale pin-up, finirà con un esaurimento nervoso e, tornata a casa, vicino Boston, Sylvia si abbandonerà al suo primo, devastante tentativo di suicidio.

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