La grande
estate : Sylvia Plath a New York, 1953 di Elizabeth Winder
Una cronaca, con testimonianze delle ultime sopravvissute, dei venti giorni
di stage giornalistico che Sylvia, allora allieva del prestigioso Smith
College, svolse, con altre diciotto ragazze e su severa selezione nazionale,
presso la raffinata rivista «Mademoiselle», che patronizzava l’etichetta
di eleganza mista a cultura per la giovane donna americana di allora
proiettata, più che altro, verso un’etica di consumismo e conformismo: siamo
nei fiduciosi, ‘silenziosi’ e subdoli anni cinquanta. Winder si propone di
«smontare il cliché della Plath artista maledetta» e mostrare come ella fosse
invece prodotto autentico «dell’America della metà del secolo». Nell’orgoglio
provato per l’estate a New York, fra sfilate di moda, lavoro di redazione e
mondanità, c’è una parvenza della vita da vincente che Sylvia ambiva a
costruire per sé. Sylvia, artista in nuce e «consumatrice», nel 1953 appare
immersa in quello slancio che lei non scinde dalla cultura del benessere del
suo paese, e nelle «bamboline di carta» fabbricate da «Mademoiselle», alla cui
redazione viene eletta per fare praticantato, ella s’identifica: cosmetici,
biancheria intima, lusso e cibo sofisticato le procuravano un autentico
piacere; un abito nuovo le dava «una vertigine di felicità»; una lista di
acquisti era per lei «una lista di poesia»; la contiguità con stelle del cinema
l’affascinava; l’incontro con celebri letterate la esaltava. Ma l’estate a New
York, testimoniata da fotografie di Hermann Landshoff, che la immortalano nel
ruolo di collegiale pin-up, finirà con un esaurimento nervoso e, tornata a
casa, vicino Boston, Sylvia si abbandonerà al suo primo, devastante tentativo
di suicidio.
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