lunedì 18 settembre 2017

La scrittrice abita qui di Sandra Petrignani
Un po' pellegrinaggio e un po' seduta spiritica, questo libro porta dalla Sardegna di Grazia Deledda all'America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette all'Oriente di Alexandra David-Néel, dall'Africa alla Danimarca di Karen Blixen, all'Inghilterra di Virginia Woolf. Un lunghissimo viaggio in case-museo che, attraverso mobili e suppellettili, stanze e giardini raccontano la storia sentimentale delle più significative scrittrici del Novecento. Da Parigi alla Provenza, dal Kenya al Maine, da Copenhagen al Tibet, Sandra Petrignani le cerca nei loro oggetti, interroga i loro diari, la poltrona in cui si sedevano, il portafortuna da cui non si separavano, ma anche (in alcuni casi) le persone che ancora conservano un ricordo vivo di loro. Così il viaggio, concretissimo, diventa favoloso, un giro del mondo dove a ogni tappa è come se le protagoniste in persona aprissero la porta e svelassero sottovoce i segreti della vita coniugale e di passioni travolgenti, i nodi edipici e le fragilità che le hanno rese grandi scrittrici, ma anche donne tremendamente vulnerabili. E alle loro vicende s'intrecciano quelle dei loro uomini e delle loro amiche, in un caleidoscopio di presenze, da Vanessa Bell a Katherine Mansfield a Natalie Clifford Barney a Vita Sackville-West... Le mele nel tinello della Yourcenar e il suo cane ancora vivo, il tempio tibetano ricreato a Digne dalla David-Néel o la stanza chiusa che fu sua nel monastero del Sikkim dove si ritirò in meditazione, la Barbagia della Deledda con le fate e i folletti che influenzarono la sua fantasia, il grammofono della Blixen portato con sé dalla sua Africa in ricordo dell'uomo che aveva amato e perduto per sempre… Sandra Petrignani ascolta "la voce delle cose" e la traduce nelle affascinanti storie di questo libro.

La mia casa di campagna  di Giovanni Comisso
L’autore narra dell’acquisto della casa di campagna in una località a pochi chilometri da Treviso, Conche di Zero Branco, avvenuto il 29 settembre 1930 e della vita da “buen ritiro” che vi conduce. Comisso ha 35 anni e vuole fare di questo luogo il suo universo: lì trova riuniti e fusi splendidamente molti paesaggi incontrati nei suoi viaggi. Capisce che forse può leggere il mondo anche osservandolo da dentro il piccolo recinto di quella casa. Anzi, lo potrà leggere in modo più approfondito: mai ero rimasto fermo a un essere umano o a un paesaggio, ma sempre ero passato con avidità e indifferenza dall’uno all’altro.  Vi trascorse lunghi periodi, coltivando l'orto e dedicandosi alla cura della terra con la passione e la sapienza dei contadini. Tutta la mia avidità di conoscere e di vedere, fino allora dispersa nei miei viaggi per il mondo, la rivolgevo ora, radicato in quella mia casa, verso la terra circostante e verso la gente che l’abitava.” 

La casa dell'incesto di Anais Nin
La casa dell'incesto è la storia della dolorosa situazione di una donna divisa, incapace di trovare un collegamento tra il corpo e la propria vita emotiva. ‟Ho scritto le prime due pagine del mio nuovo libro in uno stile surrealista,” annota nel suo diario la Nin nell'aprile del 1932. E in effetti si tratta di un testo audacemente sperimentale, sospeso tra il romanzo e la prosa lirica, che rappresenta il felice punto d'incontro tra i due momenti fondamentali dell'ispirazione di Anaïs Nin: da una parte, la ricerca di una totale e potente naturalezza nell'esprimere la vita e l'emozione dei sensi; dall'altra, il proposito di ‟procedere dal sogno per entrare nel dato sensibile”, cioè di immergere l'esperienza onirica nel flusso della vita quotidiana, accostandosi alle ricerche del gruppo surrealista. Nasce così quello che è, forse, il libro letterariamente più elaborato e intenso della Nin: un racconto allucinato, ‟stratosferico”, caratterizzato da una prosa sontuosa e musicale, da una ragnatela sottile ma fortissima di immagini e di suoni, ‟la mia stagione all'inferno”, come ebbe a definirlo l'autrice stessa.

Casa di bambola di Henrik Ibsen
"Ma la nostra casa non è mai stata altro che una stanza da gioco. Qui sono stata la tua moglie-bambola, come ero stata la figlia-bambola di mio padre. E i bambini sono stati le bambole mie"
Considerata dal marito, il rispettabile avvocato Torvaldo Helmer, l'immagine del decoro degna di essere esibita in società, nonché la bambola prediletta da guidare ed ammaestrare a proprio piacimento, la giovane Nora vive all'ombra di un matrimonio di cui non ha mai sperimentato l'essenza in otto anni di convivenza. Ignara del proprio ruolo puramente accessorio ed egoisticamente infantile nella casa che lei crede la sua reggia, destinata però a rivelarsi una prigione di ipocrisia, Nora andrà incontro ad una personale epifania a partire da una vigilia di Natale carica di aspettative, in cui un antico prestito contratto con l'oscuro Krogstad illuminerà la natura dell'amore che la lega al marito e l'abisso che li divide. Forte della rinnovata consapevolezza di non essere niente se non un grazioso burattino, Nora si dichiarerà intenzionata a completare il suo personale percorso di affermazione interiore, alla ricerca di nuovo senso o forse, solo, di un altro sostegno su cui plasmare la propria vita.

Appartamento ad Atene di Glenway Wescott
«Appartamento ad Atene di Glenway Wescott è un romanzo bellissimo, che raccomando a tutti coloro che amano la letteratura se hanno il coraggio di sopportare la tragedia e l’orrore ... Siamo in un carcere, come in alcune tragedie greche, nei drammi da camera di Strindberg e nella Metamorfosi di Kafka. Carcere è dovunque, anche sotto il cielo aperto: carcere è soprattutto Atene, dove i bambini greci muoiono di fame e le madri pregano perché muoiano presto; e dove l’Acropoli sembra un tetro fondale da teatro, costruito con la pietra nuda. Carcere è il mondo, da quel poco che possiamo intravedere. E se si scopre all’improvviso una crepa nel muro, “una porta appena socchiusa, un fievole raggio di sole sul pavimento”, possiamo essere certi che è un’illusione: perché la crepa e la porta socchiusa e il finto raggio di sole alzeranno mura sempre più alte, dalle quali nessuno potrà fuggire»           PIETRO CITATI
Nel 1942, ad Atene, un appartamento viene requisito per ospitare un ufficiale tedesco. Nell’appartamento vivono gli Helianos, una coppia di mezza età un tempo agiata. Lui è un intellettuale, spiritoso e paziente. Lei una donna di casa, ansiosa e malaticcia. Hanno un ragazzo di dodici anni animato da melodrammatiche fantasie di vendetta, e una bambina di dieci, una pesante bambola di carne, forse ritardata. Con l’arrivo del capitano Kalter, tutto è cancellato. Metodico, ascetico, crudele, Kalter è un dio-soldato che impone il terrore. E gli Helianos, con la determinazione dell’inerzia, si sottomettono, remissivi. Sono servi, adesso, senza altra identità che la loro acquiescenza. E la volontà del dio-soldato è il loro unico assillo. L’appartamento li avvolge come un’epidermide. La testa china, gli occhi serrati, si muovono «in una vaga, illogica danza al suono di una musica quasi impercettibile». La musica del male. La notte, avvinghiati sulla branda in cucina, intrecciano ciechi deliri: temono gli ordini del nuovo giorno, scambiano piccole parole dalla vocalità scarnificata. Hanno paura di far rumore, non vogliono muovere nulla. Poi, di colpo, l’assenza. Il padrone parte per la Germania, e i servi scoprono che la libertà non ha alcun senso, che la tortura continua. Quando Kalter torna, è un sollievo. È cambiato: più gentile, indulgente. Di un’indulgenza che disorienta. Ma è un fragile equilibrio. Correnti sotterranee di odio agiscono in segreto, preparano un terrificante colpo di scena. Pubblicato nel 1945, questo romanzo lascia oggi stupefatti per la fulmineità con la quale sembra avere assimilato un lungo, tormentoso lavoro di elaborazione dell’orrore che cominciò alla fine della guerra e non si è certo concluso. Il lettore si troverà di fronte all’inquietante capacità del narratore di ingrandire e osservare da vicino ogni moto della psiche. Dal romanzo è stato tratto il film omonimo di Ruggero Dipaola, con Laura Morante, Richard Sammel, Gerasimos Skiadaressis, Vincenzo Crea, Alba De Torrebruna.

I cittadini del silenzio di Neni Efthimiadi
Durante il party organizzato dalla famiglia Drivas per festeggiare il proprio arrivo nel nuovo appartamento, la piccola e satanica Cristina lancia l’allarme: l’apparentemente mite e malinconica fioraia del negozio di fronte farebbe parte di una misteriosa organizzazione terroristica che progetta di far esplodere il palazzo con tutti i suoi abitanti. Data presunta dell’attentato: il 19 dicembre. La terribile rivelazione segna l’inizio di un eccitante conto alla rovescia che sconvolge la routine quotidiana del condominio e si traduce in un’interazione inaudita, in un dialogo impossibile tra “vittime” e “carnefice”. Ma la presunta scoperta dell’attività terroristica è qualcosa di più, e serve a svelare l’ipocrisia dei rapporti umani, le maschere che i protagonisti sono costretti a portare nel loro rapporto con gli altri, e l’inconsistenza di personalità estremamente fragili che una tendenza ossessiva all’analisi annichilisce senza scampo. Avviene così che le tradizionali categorie di “bene” e “male”, di “innocenza” e “colpa” si modificano e si ridefiniscono senza sosta, fino a ridursi a involucri privi di contenuto – così come privo di contenuti è il linguaggio di cui i protagonisti si servono per commentare, fino a dissolverla, la propria realtà. In questo modo il lettore viene lasciato nell’impossibilità di prendere una posizione univoca, fino all’enigmatico finale, che sovverte completamente i presupposti stessi del romanzo, suscitando nuovi e più inquietanti interrogativi.

In villa di W. Somerset Maugham
Quando si parla di gemme letterarie, di macchine narrative i cui meccanismi funzionano come gli ingranaggi di un orologio, di storie che riescono a ospitare, in poche decine di pagine, il respiro della letteratura, si allude a qualcosa che è realmente esistito – a quell’altissimo artigianato che ha avuto per motivi imperscrutabili la sua grande stagione nei primi decenni del secolo, e di cui libri come In villa giustificano il rimpianto. Gli ingredienti di base dai quali nascevano questi capolavori erano spesso, doverosamente, elementari: qui, un décor quasi convenzionale (la Firenze frequentata dalla colonia inglese, vista però da una distanza più ravvicinata del solito), una donna bellissima e a suo modo perduta, due uomini molto diversi che se la contendono, e al centro uno scabroso fatto di sangue. Ma per combinarli ci voleva la mano di un maestro come Maugham. Che in questo romanzo ritroviamo al suo meglio: trame impeccabili, cliché affettuosamente massacrati, lampi di letale ironia sparsi fra le battute di una conversazione elevata a forma d’arte. E il tutto in uno spirito di devota fedeltà a un dio esigente: il piacere della lettura.

La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabeta
Yasunari Kawabata, scrittore giapponese Premio Nobel per la letteratura nel 1968, è noto per la perfezione formale dei suoi testi, accostata alla grande capacità di analisi dei sentimenti e degli stati d'animo dei personaggi. Queste qualità si riscontrano inequivocabilmente ne La casa delle belle addormentate (Nemureru bijo), un lungo racconto venato di raffinato erotismo. La trama è molto semplice, quasi inesistente: il vecchio Eguchi, su consiglio di un amico, si reca in uno strano postribolo dove i clienti, tutti anziani, possono trascorrere la notte con giovanissime donne addormentate da un potente narcotico. I frequentatori della casa devono sottostare ad una regola ben precisa: non possono svegliare nè molestare le belle dormienti per nessun motivo. Eguchi, cui la vecchiaia non ha ancora tolto le proprie facoltà sessuali, viene più volte preso dalla tentazione di infrangere il divieto, destando le ragazze o facendo loro violenza, ma ogni volta desiste dai suoi propositi. Si limita così a toccare la fresca pelle delle giovani, in un contatto che gli trasmette energia vitale e al contempo lo spinge a riflettere sull'inesorabile avvicinamento della morte. La magia di quei corpi di donna addormentati induce questo signore rispettabile a ritornare più volte in quel luogo, ma un evento tristemente prosaico cancella ogni traccia di poesia e riporta il vecchio alla desolante realtà.

Ogni volta che Eguchi riposa accanto ad una ragazza viene assalito da un fiotto di ricordi, che lo riportano ora alle sue passate esperienze sentimentali, ora al suo rapporto con la sua ultima figlia, ora a sua madre. Sono visioni intrise di una forte carica onirica, a tratti filtrate dal dormiveglia, che scaturiscono dalla contemplazione delle ragazze, il cui corpo nudo viene descritto fin nei minimi dettagli. Dei seni piccoli oppure floridi, delle mani infantili oppure lunghe e con le dita laccate di smalto, delle labbra innocenti oppure tinte di rossetto, ogni cosa fa affiorare i ricordi che Eguchi conservava sepolti nella sua memoria. I sensi, tra cui anche l'olfatto, che alla maniera proustiana fa rinascere vividi e intensi sprazzi di vissuto, sono i protagonisti in assoluto del racconto. Dall'empirismo del corpo si passa alla visione onirica, la quale scaturisce in tutta la sua potenza mischiando ricordi reali a immagini di sogno, in una sorta di immersione nel profondo di sé stessi. Un'azione apparentemente sordida come quella di recarsi in una casa di appuntamenti si trasforma in un dialogo di Eguchi con il proprio io interiore, già minacciato dal senso di disfacimento e di morte tipico della vecchiaia eppure ancora prepotentemente attaccato alla vita. Impossibile non farsi conquistare dalla raffinata bellezza di questo racconto, che nella sua particolarità ci riporta a sensazioni familiari a qualsiasi essere umano e ci seduce con la sua delicata eleganza.                                   Irene Pazzaglia
La casa Tellier di Guy De Maupassant
Casa Tellier è una casa di appuntamenti. Non è di quelle ricche e signorili case della grande metropoli, ma dignitosa. È, come lo erano molte case di appuntamenti, un luogo di ritrovo di una certa importanza per molti cittadini.  Un giorno i clienti abituali la trovano chiusa, e Maupassant rende molto bene la situazione di disagio, quasi di caos, di anomalia che si viene a creare in città. La chiusura è giustificata: la nipote della signora Tellier deve prendere la comunione e alla cerimonia andranno anche le sue ragazze.
Il senso del pudore con cui Guy de Maupassant racconta la condizione umana delle prostitute è sorprendente: la sua visione si allontana dalla concezione bigotta e perbenista, e ridona a queste donne dignità e  rispetto. Ed sono proprio donne dignitose, rispettabili quelle che appaiono nel racconto, le quali, con lucidità e senso del decoro, sanno discernere il momento adatto per abbandonarsi ai piaceri delle voluttà umane, e mantengono il proprio contegno di grandi dame quando, lontane dai pregiudizi del moralismo cittadino, si trovano ad essere osservate e ammirate da tutti per il loro portamento di gran signore e per la loro eleganza. Due ambienti diversi: da un lato il bordello cittadino, nei quali le prostitute si lanciano tra le braccia di uomini assetati e desiderosi, e dall’altro la chiesetta del piccolo paesino, dove, dinanzi alla solennità e all’allegria della cerimonia di comunione, esse sono esempio di gentilezza, di serenità e di moderazione, capaci di resistere bonariamente alle tentazioni inopportune di qualche ubriacone.


La casa verde di Mario Vargas Llosa           
La Casa Verde - nome di un mitico bordello le cui vicende coincidono con la storia di una città, Piura, in Perù, e dei suoi abitanti - è anche un romanzo autobiografico: «Quando sono andato via da Piura alla volta di Lima, nell'estate del 1946, avevo la testa piena di immagini... La prima era la sagoma di una casa che sorgeva in periferia, sull'altra sponda del fiume, in pieno deserto, solitaria tra le dune di sabbia... C'era qualcosa di maligno e di enigmatico, un'aura diabolica attorno a quella costruzione che avevamo battezzato "casa verde". Ci avevano proibito di avvicinarci. Secondo gli adulti era pericoloso, peccaminoso, accostarsi a quel luogo, ed entrarci era impensabile, dicevano che sarebbe stato come morire o entrare all'inferno...».

La città e la casa di Natalia Ginzburg
Un romanzo epistolare che racconta la disgregazione della famiglia, la crisi dei ruoli tradizionali, il vuoto drammatico che accompagna la vita dei nostri giorni. La mancanza di virilità, l'assenza della figura paterna, l'insicurezza dei figli compongono i frammenti di un'armonia ormai dispersa in un fitto susseguirsi di eventi spesso drammatici tra Roma, l'Umbria e l'America.
Lettera dopo lettera, padri, figli, amici, amanti vengono messi di fronte a se stessi e al loro bisogno di verità. L'autrice ricostruisce le schegge di queste vite e racconta nel consueto stile, asciutto e lirico insieme, la perdita di quel senso di appartenenza che ha il suo simbolo più evidente nella casa: perché
«uno le case può venderle o cederle ad altri finché vuole, ma le conserva ugualmente per sempre dentro di sé».
Verso casa di Dermot Bolger
«Non è sufficiente nascere in un posto per sentirsi a casa. La propria casa si trova là dove non sono più necessarie spiegazioni e si diventa finalmente se stessi».

Animali braccati e indifesi, Hano e Katie, i protagonisti di questo romanzo di Dermot Bolger, chiedono alla vita solo un rifugio che metta fine al movimento di una fuga disperata. Il delitto che hanno commesso li ha esiliati per sempre ai confini dell’esistenza sociale, ma la loro perdita d’innocenza ha radici ben più profonde di quell’ultimo gesto irrevocabile. È stato il carattere criminale del Potere, disgustosa maschera di viltà e pulsione omicida, a spingerli oltre il bordo, in quella terra di nessuno dove brilla incerta, miraggio della notte, la promessa di uno scampo. Verso casa è il romanzo di una giovinezza stuprata e derubata dei suoi beni più preziosi, l’amore e l’amicizia, e insieme la cronaca di un doloroso e necessario emergere alla consapevolezza di sé e del proprio destino.
Nessuno prima di Bolger ci aveva descritto con tanto crudo e apocalittico sentimento della verità l’Irlanda che ci appare in queste pagine. È qui, fra i sobborghi miserabili di Dublino e le torbiere intrise di pioggia, i decrepiti villaggi contadini e i boschi scampati alla distruzione, che Hano e Katie, poveri di tutto e carichi di un tremendo fardello di memorie, dovranno tentare di vincere la loro partita. È qui che, imparando a dimorare in un rischio perpetuo, questi natural born killers cresciuti nel cuore della vecchia Europa diventeranno se stessi, troveranno la loro casa. Quella casa che è possibile abitare solo quando ogni altra casa possibile, ogni certezza del futuro, ogni compromesso di comodo con l’esistenza sono ormai ridotti in cenere.

La casa del silenzio di Orhan Pamuk                    
La novantenne Fatma, insieme al nano Recep, figlio illegittimo del suo defunto marito, vive ancora nella austera e silenziosa casa affacciata sul mare, ormai cadente, in cui si trasferì con il suo sposo - un medico fallito, attivista politico e alcolista - quando decisero di abbandonare Istanbul agli inizi della rivoluzione del 1908. Altezzosa e bisbetica, Fatma trascorre il tempo assorta nei ricordi, a rodersi in un cupo sentimento. Ogni estate i suoi tre nipoti vanno a trovarla: Faruk, il maggiore, Nilgün, affascinante studentessa progressista, e il giovane Metin che vuole emigrare negli Stati Uniti. Per motivi diversi tutti e tre desiderano che la nonna venda la casa. Attraverso i ricordi di Fatma, Recep e le opinioni dei nipoti, Pamuk disegna gli ultimi anni di storia del popolo turco fino ai giorni del golpe militare di Evren, parlando della ricerca delle radici, della necessità di un cambiamento sociale e del difficile equilibrio tra tradizione e influenze occidentali.

La casa del padre di Giorgio Montefoschi   
Il romanzo capolavoro di Giorgio Montefoschi, Premio Strega 1994.
Pietro Bellelli ha vent’anni quando torna a vivere con la famiglia nella casa dove ha trascorso l’infanzia. È un giovane «apprensivo, nostalgico, disponibile a credere in un evento», i cui anni trascorrono sotto il segno di un amore mancato per
il padre, un rapporto pieno di ombre e distanze. Fino a che Pietro si ritrova a sua volta padre di un ragazzo, unito e separato da lui da quella medesima lontananza. Il trasloco nella “casa del padre” che dà il titolo al libro, e che è la casa di un’infanzia serena, non è soltanto un trasloco fisico, ma soprattutto un’indagine nella memoria che corrisponde a un viaggio dell’anima. E quella casa non è un approdo sicuro: i vecchi muri assorbono gli atti e le scene del passato, ma non redimono né dissolvono enigmi e inquietudini del presente. Ma un colpo di scena rivelerà a tutti i protagonisti che non ci sono padri e figli: siamo tutti padri, tutti figli, ospiti di una medesima casa.
La casa in un soffio di William Goyen
“E tutto è così silenzioso, in questa erosione, al di fuori del vento che avvolge fasce da mummia intorno alla superba casa caduta, ormai consegnata agli eredi. Per questo spesso, quando ritornavi lungo la strada in un pulviscolo di pioggia, ti pareva che la casa si posasse su un fragilissimo velo di fiato, esalato da te. Allora pensavi che, forse, non esisteva affatto, come prodotto delle mani d'un carpentiere e forse non era mai esistita, ed era solo l'idea di un tuo respiro, e con lo stesso fiato che le aveva dato la vita tu potevi disperderla”.

Il libro vive del contrasto di una scrittura quasi poetica con le miserie e le devianze dei personaggi. Folner, Follie, già perduto da piccolo quando Nonna Ganchion lo vestiva con abiti da bambina: per sfuggire le prese in giro e i pestaggi dei paesani scapperà con il trapezista del circo. Suimma che se ne andrà a Dallas e diverrà una star, per poi avere dei figli deformi. E poi Zio Walter Warren, adepto del Ku Klux Klan: lui e i compagni una volta al mese spalmano di catrame e piume un negro e gli danno fuoco. Christy, figlio illegittimo di nonna Ganchion, non riesce a consumare il matrimonio con Otey (che si rifiuta e che lui comunque non tocca ‒ né lei né altre) e si sfoga masturbandosi nei boschi sporco del sangue degli uccelli cacciati.
La casa in Mango street di Sandra Cisneros
La casa di Mango Street è la storia di Esperanza raccontata attraverso la sua voce e il suo sguardo, ora ingenuo e giocoso, ora maturo e sensibile. Esperanza vive a Mango Street, in un barrio di chicanos, a Chicago. Ma non è questa la casa che ha sempre sognato, né la vita che desidera per sé. Emozioni, pensieri e desideri di un'adolescente si susseguono in una serie di toccanti e straordinarie immagini che s'intrecciano con la vita del barrio e i suoi indimenticabili personaggi.
“Ce lo dicevano sempre che un giorno ci saremmo trasferiti in una casa, una casa vera che sarebbe stata nostra per sempre in modo da non dover traslocare ogni anno. E che la nostra casa avrebbe avuto l'acqua corrente e tubature che funzionavano. E che dentro ci sarebbero state scale vere e non quelle dell'androne, ma scale solo nostre come si vedono nelle case in TV. Avremmo avuto anche un seminterrato e almeno tre bagni, in modo che quando ci facevamo il bagno non dovevamo avvertire tutti. La nostra casa sarebbe stata bianca e avrebbe avuto alberi tutt'intorno, un giardino grande con l'erba e senza staccionata. Questa era la casa che ci raccontava Papà appena comprava un biglietto della lotteria ed era anche la casa che sognava Mamma nelle storie che ci raccontava prima di andare a letto.
Ma la casa di Mango Street non è affatto come ce l'avevano descritta loro.”
Il sogno di Esperanza è avere una casa tutta sua:
 "Mica un appartamento. Di sicuro non un appartamento sul retro. Non la casa di un uomo. Non voglio fare la mantenuta. Ma una casa tutta mia. Con il portico, un cuscino su cui riposare e le mie preziose petunie color porpora. I miei libri e i miei racconti. Il mio paio di scarpe pronte accanto al letto. Nessuno contro cui agitare il bastone. Nessuno a cui stare dietro e rimettere a posto le sue cose. Solo una casa silenziosa come la neve, uno spazio in cui rifugiarmi, pulito come la carta prima di scriverci una poesia".

Una casa di terra di Woody Guthrie
Il manoscritto originale di questo romanzo di Woody Guthrie, portato a termine nel 1947, era rimasto chiuso in un cassetto a Coney Island per anni e anni. Scoperto da poco, è stato pubblicato negli USA da Johnny Depp, che ne ha scritto anche l'introduzione. "Una casa di terra", l'unico romanzo completo del leggendario folksinger, è un ritratto profetico e potentissimo di due agricoltori cocciuti e disperati che combattono per sopravvivere alla furia cieca e distruttiva degli elementi (ma non solo) durante la Dust Bowl, la serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti negli anni Trenta, mandando in rovina migliaia di contadini. Soffuso della elementare poeticità e della devastante autenticità che hanno reso leggendarie le ballate di Woody Guthrie, il libro è la storia del normalissimo sogno di una vita migliore da parte di una normalissima coppia e della sua ricerca di amore in un mondo sempre più corrotto. Tike e Ella May Hamlin si ammazzano di fatica per coltivare la terra arida del Texas, vivono in una catapecchia di legno e sognano un'abitazione solida in grado di difenderli dalla terribile violenza degli elementi. Grazie a un opuscolo pubblicato dal governo, Tike apprende le nozioni necessarie per costruirsi una semplice casetta fatta di mattoni di argilla, paglia e sabbia, a prova di fuoco e vento: una casa di terra.

La casa a Nord-est di Sergio Maldini
Il giornalista televisivo Marco Gregori, disgustato della casbah presuntuosa e invivibile in cui si è trasformata la Capitale, medita una fuga a Nord-Est, su nella bassa friulana. Con la mediazione di un vecchio compagno di liceo, acquista un rustico che, col tempo; si trasformerà nell'oasi di salvezza della sua vita. La Casa diventa il simbolo del riscatto e della speranza; intorno ad essa ruota il mondo pacato e austero di una provincia lontana anni-luce dai clamori insopportabili della società d'oggi. È un mondo che ancora respira sul ritmo delle stagioni e incede con riti signorili ed esclusivi legati a ricordi ancestrali - il passaggio di Napoleone, le solenne tradizioni patriarcali -, apparentemente distaccato ma profondamente genuino. Qui Marco, nei suoi continui andirivieni tra Roma e il Friuli, mentre procede il restauro, sembra trovare una nuova dimensione di sé, un appiglio al tempo che resta. Le feste della principessa Maria Luisa Sabot, i dialoghi con gli intellettuali e i nobilotti locali, le passeggiate lungo il Tagliamento, coincidono con il lento, misurato avanzamento dei lavori. La storia d'amore che nasce tra Marco e Antonia Bellavittis sembra suggellare in modo definitivo il trapasso della vita romana, nonostante a Roma continuino a esistere - sempre più ovattati nella memoria, quasi annullati dal caos, dal traffico e dall'indifferenza - moglie e figlio del protagonista. Ma forse le illusioni, oggi, non hanno più diritto ad uno spazio. Antonia si trova costretta a partire per il Canada, e la scena dell'addio a Marco, nella Casa riscaldata dal "fogolar", con la campagna sepolta sotto la prima nevicata di novembre, è di una perfezione e di un'emozione davvero uniche. In un finale altrettanto toccante, tre anni più tardi, ritroviamo Marco, malato, forse prossimo a morire, nuovamente pellegrino in autostrada - intuiamo per l'ultima volta - ancora diretto da Roma a Nord-Est. E un finale aperto, comunque, a tutte le interpretazioni, in un modo talmente accorto che ognuna di esse può risultare valida e felice. La Casa non ha imprigionato Marco - le illusioni, dicevamo, sono in agonia - ma ha fatto sentire sempre più intensamente il suo richiamo, il richiamo alle origini di ognuno di noi. Riassunto in poche frasi, il libro di Maldini è tutto qui. Ma intanto ci siamo invaghiti di questi paesaggi quieti, delle campagne solitarie, delle conversazioni pacate, di questa Casa che pian piano respira all'unisono col suo proprietario, di una storia d'amore semplice, ma indimenticabile nella sua dolorosa normalità. Forse, sembra suggerire Maldini, la ricerca del sogno perfetto è impossibile nella vita umana. "La Casa a Nord-Est più che una casa era un deposito di illusioni", recita tra sé il protagonista. Ed anche - e proprio per questo - si sforza di modificarla sempre, di arricchirla, di farla vivere, perché solo così sente che potranno sopravvivere le sue speranze.                           Da L’indice dei libri

Sotto la casa di Josep M. Benet i Jornet
Un piccolo paese, la facciata di una casa, una donna scomparsa, due sconosciuti che s’incontrano. Forse non per caso. Uno dei due indaga, alla ricerca di risposte che lo aiutino a ritrovare la moglie o, almeno, a capirne l’anima, a partire dagli scarsi indizi che è riuscito a racimolare. Indaga pure l’altro, scrutando i gesti, scavando nelle parole, scomponendo i segnali che possano tradire le motivazioni dell’interlocutore. Entrambi dovranno rivedere le loro aspettative, in un continuo gioco di assestamenti di un dialogo serrato che li vede impegnati, come in un ring psichico, ad aspettare l’occasione per stringere alle corde l’avversario. Come finirà l’incontro? Chi è l’uomo che abita la casa e cosa cerca veramente l’ospite inatteso? Cosa c’è mai sotto la casa? Josep M. Benet i Jornet, considerato unanimemente il padre della drammaturgia catalana contemporanea, Premio Nacional de Literatura e Premi d’Honor de les Lletres Catalanes, autore di più di quaranta testi teatrali, sceneggiatore e autore televisivo, inchioda come sempre spettatore e lettore alla poltrona con un’azione scarna e avvincente, la scelta di una prospettiva insolita e non pochi colpi di scena.
Una casa a Bogotà  di Santiago Gamboa
“Guardare la vita dal balcone della casa di fronte. Forse è a questo che servono i libri e l’arte.”
Orfano dall’età di sei anni – i genitori sono morti in un incendio –, il filologo protagonista del romanzo, grazie al denaro di un premio letterario, può comprarsi una casa a Bogotá nel quartiere della sua infanzia. Vi abiterà con l’anziana zia che l’ha adottato, ex funzionaria dell’onu e militante di sinistra, donna colta e raffinata, con la quale ha condiviso una vita nomade all’estero. La ricerca di un luogo da sentire come proprio, la nostalgia del passato, il ricordo di viaggi, incontri, scoperte e amori sono il filo conduttore di una storia che si sviluppa a partire dalla descrizione delle varie stanze della casa, ciascuna dotata della sua speciale magia evocativa. Associando a ogni stanza un tema particolare, Gamboa permette di approfondire la conoscenza con il suo alter-ego cartaceo illustrandone la filosofia di vita, il pensiero religioso, l'opinione sulla società e sui costumi ma anche cogliendone aspetti più personali come la famiglia o il sesso. Dalla casa il filologo, con l’aiuto del fido autista, muove alla scoperta degli aspetti più inquietanti della città – covi di drogati, spettacoli di sesso dal vivo, persino una festicciola omoerotica di nazisti –, che non somiglia più a quella della sua adolescenza. Non meno drammatiche sono le rivelazioni personali che lo attendono in un baule, alla morte della zia, e che lo spingeranno sull’orlo del suicidio. Con la consueta abilità Santiago Gamboa costruisce un racconto a tratti intimista e ricco di elementi autobiografici che ha per protagonista anche Bogotá, la cittadina provinciale degli anni giovanili e la caotica metropoli odierna.
La casa dei sette abbaini di Nathaniel Hawthorne            
"Prendiamo pure questa vecchia casa Pyncheon! Vi pare che sia un posto salubre in cui vivere, con i suoi spioventi neri, e il verde muschio che sta lì a dimostrare quanta umidità ne trasuda; con le sue stanze scure e spoglie, con tutta quella sporcizia e quello squallore, che altro non sono che la cristallizzazione sui muri dei fiati umani che vi furono esalati nel malumore e nell'angoscia?"
Una casa con sette abbaini sorge su un terreno dalle tinte bucoliche, che viene sottratto all'uomo onesto che  lo possedeva attraverso una falsa accusa di stregoneria. Condannato al rogo, Matthew Maule maledice in punto di morte il suo assassino, il colonnello Pyncheon, che poco dopo l'insediamento nella casa sarà trovato morto in circostanze misteriose. L'atto di proprietà non viene ritrovato, così la dimora rimane vuota per anni, funestata dai fantasmi, finché non vi torna ad abitare la vecchia Hepzibah, discendente della famiglia Pyncheon. Ma non sono gli spiriti le entità da temere, bensì i peccati degli avi e il clima di ipocrita perbenismo della città. La salvezza, se ce ne sarà una, potrà essere raggiunta solo lontano da lì, lontano dalla casa dei sette abbaini.
"Quel che chiamiamo proprietà immobiliare – il solido terreno su cui costruire una casa – costituisce le estese fondamenta su cui posano quasi tutti i peccati di questo mondo. Un uomo potrà commettere praticamente qualunque ingiustizia, accatasterà un'immensa pila di misfatti, dura come il granito, e che come tale gli peserà sull'anima per l'eternità, e tutto questo solo per costruire una grande, cupa, buia dimora, per morirci dentro lui, e perché la sua discendenza ci viva infelice. "



La casa del Granella di Luigi Pirandello
L'avvocato Zummo prende a cuore la causa della famiglia Piccirilli (padre, madre e figlia), costretta ad abbandonare la propria casa infestata dagli spiriti e citata dal locatore, il Granella, che reclama il rispetto del contratto, con relativo pagamento della pigione e dei danni. In principio scettico nei confronti dell'esistenza degli spiriti, l'avvocato comincerà ad essere assalito dal dubbio, a interrogarsi, ricorrendo persino a una serie di esperimenti con i suoi assistiti. Con "La casa del Granella" Pirandello ci consegna un racconto umoristico che mette a nudo il personaggio principale di fronte al problema dell'esistenza degli spiriti.


La finestra dei Rouet di Georges Simenon
Un lento, soffocante pomeriggio estivo. In un modesto appartamento di Faubourg Saint-Honoré, una donna sta ricucendo un vecchio vestito. Al di là della sottile parete che divide la sua stanza da quella attigua, due corpi giovani si stiracchiano voluttuosamente dopo aver fatto l’amore. La donna sente tutto, immagina ogni gesto, come se li vedesse: nudi, «carne contro carne, avvinghiati, con la pelle luccicante di sudore ... si crogiolano in quel colore, in quell’odore di bestia umana». Nel lungo specchio rettangolare dell’armadio, prima di provarsi il vestito, si guarda i seni, li prende in mano, li stringe: nessuno sa quanto siano belli, ancora adesso che sta per compiere quarant’anni, nessuno sa che il suo corpo – mai sfiorato dalla mano di un uomo – è lo stesso di quando ne aveva sedici. Poi, come fa sempre, si avvicina alla finestra. Dall’altra parte della strada vive la ricca famiglia dei Rouet, proprietari non solo del palazzo in cui abitano, ma di buona parte dei palazzi intorno. Per ore e ore, da dietro le persiane accostate, la donna spia la loro esistenza: quella dei vecchi, al piano di sopra, e quella del giovane Hubert e della sua bella, irrequieta moglie Antoinette, al piano di sotto. Sarà lei, in questo assolato pomeriggio di luglio, l’unica testimone di qualcosa che potrebbe anche essere un omicidio. E da ora in poi la donna comincerà a vivere per procura la vita di Antoinette: una vita «fervida, invadente, in tutta la sua spaventosa ferocia», una vita «proibita», che a poco a poco diventerà la sua. Con La finestra dei Rouet, storia di una torbida ossessione, Simenon ha scritto uno dei suoi romanzi più sottilmente perversi.





La casa assassinata di Pierre Magnan
La Burliére: protetta dall'ombra dei cipressi, per 23 anni essa è rimasta chiusa e inviolata come una tomba. Quando il giovane Séraphin Monge, reduce dal primo conflitto mondiale, fa ritorno a quella vecchia dimora vi troverà ogni cosa intatta. Troverà l'orologio a pendolo fermo da tanti anni, il tavolo dove suo padre mangiava, la culla dove sua madre lo metteva a dormire. E troverà le macchie lasciate dai suoi familiari, trucidati in una strage di cui lui, che allora aveva tre settimane, è stato l'unico superstite. Dal momento del ritorno per Séraphin può esistere un solo obiettivo: scoprire cosa successe in quella notte lontana e assumere il ruolo di angelo punitore.


“Non ero una bambina particolarmente ordinata. Non mi sono mai immaginata a lustrare i frigoriferi altrui, preferire un tipo particolare di carta da cucina, o nutrire sentimenti di vendetta personale contro i peli pubici smarriti. Ero una di quelle ragazzine dotate, leggermente precoci, molto curiose, che i più definirebbero normale. Avevo delle tartarughe. Ed ero una scout. Tra le scout mi guadagnai distintivi, rapidamente e senza troppa fatica. C'erano distintivi per l'esplorazione e la pittura, per il nuoto e la bella scrittura. Si trattava di pezze colorate, rotonde, ricamate con simboli enigmatici.
C'era un distintivo anche per la cura della casa. La motivazione ufficiale per quella decorazione era "avere imparato le cose che devono essere fatte per rendere una casa accogliente, pulita e ordinata". Io dimostrai di saper usare correttamente gli attrezzi per la pulizia - moccio, aspirapolvere e scopa -, di sapere come si rifà un letto e come si lavano i vetri senza lasciare strisce.  […  nel gennaio del 1968, quando avevo dieci anni, la capa del gruppo, Velma Bufford, firmò tutti gli otto requisiti ufficiali della Girl Scout, e io divenni una Casalinga Certificata. Ma in realtà io volevo fare la spia, e per quell'attività non era previsto nessun distintivo.”

Lo sporco degli altri : avventure di una donna delle pulizie da New York a Kyoto di Louise Rafkin
Louise Rafkin racconta la vita di una donna delle pulizie "per scelta": lei. E fa della pulizia una filosofia di vita, un modo di comunicare, un modo di dimostrare gratitudine o disprezzo, affetto o noncuranza. Ma come fa una ragazzina desiderosa di trasformarsi in spia ai servizi della Cia, a diventare una professionista del pulito? Eppure un legame tra le due mansioni c'è: la curiosità. Dallo spiare esternamente nelle case dei vicini a entrarci per fare le pulizie il passo è stato breve. Perché in fondo, cosa significa pulire "lo sporco degli altri"? Entrare nel loro intimo, conoscerli a fondo, poter addirittura leggere la corrispondenza privata, gli estratti conto della banca, conoscerne le abitudini sessuali, le amicizie, i gusti musicali o cinematografici... In molte case non deve faticare particolarmente. "Io sono specializzata nella pulizia delle case pulite", scrive nel suo libro. Descrive appartamenti e ville curati come musei, lustrati a specchio, sempre in ordine. In altri luoghi il disordine e la sporcizia sono insopportabili. Louise è una donne delle pulizie che può permettersi di rifiutare un lavoro, che può scegliere anche in base alla simpatia del proprietario, che guadagna cifre notevoli. È quel tipo di domestica ricercata dalle famiglie bianche, benestanti, politicamente corrette e un po' razziste che preferiscono una ragazza americana, bianca e colta, per non avere sensi di colpa, per non sentirsi in qualche modo sfruttatori di manodopera immigrata o di colore. Louise è fortunata anche perché sa scrivere: articoli di costume  e questo romanzo.

Lotta di classe al terzo piano di Errico Buonanno
1862: Karl Marx è a Londra. È senza un soldo, vive in un triste condominio di Soho e ha il compito di scrivere il libro del secolo. C'è solo un problema: non gli riesce di buttare giù una riga. Mentre il movimento operaio fibrilla, mentre Engels e gli altri dirigenti mostrano segni di impazienza, mentre l'Europa è una polveriera che attende il la per la rivolta, Marx è chiuso in casa e non parla più con nessuno. Un solo uomo può capirlo: colui che in teoria è il suo nemico giurato. Alan John Huckabee, il padrone (di casa). capitalista, scrittore fallito, e proprietario dell'intero condominio, scoprirà di avere molto in comune col suo strano inquilino. Si lascerà sedurre, lo subisserà di lettere strambe ed esilaranti e infine, dagli agi dei quartieri alti, si troverà a lottare al fianco del movimento clandestino. Tra spie prussiane, bombe anarchiche e filosofi con la pistola, Huckabee farà riscoprire al suo condomino cosa significa sognare e capirà che la rivoluzione deve partire dall'interno, fosse anche dall'interno 7: la misteriosa casa Marx.

Arredo casa e poi m'impicco di Massimiliano Virgilio
Ha trent'anni, un lavoro più che instabile (lo scrittore), il conto in rosso e la fidanzata l'ha lasciato. Perché mai Michele dovrebbe decidere di comprare casa? Per di più a Napoli, da cui molti fuggono visto che non c'è lavoro. Il fatto è che ogni italiano, come una sorta di orologio biologico, porta in sé una terribile inclinazione all'immobile, che ci spinge ad accendere mutui pressoché infiniti, a trascorrere estenuanti pomeriggi all'Ikea e a presenziare a grottesche riunioni di condominio. Per fortuna ci penseranno un produttore americano, passato con disinvoltura dal porno a un film su padre Pio, e una splendida ballerina, determinata a sconvolgere la solitudine del neoproprietario.






Chelsea Hotel : viaggio nel palazzo dei sogni di Sherill Tippins
“La gente diceva che al Chelsea accadevano magie. Per circa 10 dollari alla settimana si poteva affittare una stanza accanto a Edie Sedgwick o perder tempo sul tetto con Allen Ginsberg. Con i vicini si condividevano idee, musica, denaro, vestiti, cibo cucinato sulla piastra elettrica e, a essere fortunati, forse anche un letto. Più si era fuori dal sistema, più si era dentro a questo posto.”
Ci sono luoghi che per qualche misteriosa ragione sembrano poter riassumere in sé l’essenza di una cultura, di una storia, di un mondo talvolta. Il Chelsea Hotel è uno di questi. Un grande palazzo di dodici piani in mattoni rossi, con balconi in ferro battuto e finestre a bovindo, situato al 222 della 23esima Ovest, nella zona di Chelsea, a Manhattan. Questo edificio, appariscente e anonimo al tempo stesso, è il luogo da cui sono partite le fiammate più violentemente creative della musica, della letteratura, dell’arte americana dell’intero Novecento, da Edgar Lee Masters ai Rolling Stones. È anche il luogo dove il sogno visionario più facilmente si è venato di eccessi autodistruttivi. Pionieristico esperimento di vita comunitaria ispirata alle idee del socialismo utopista di Fourier, il Chelsea diviene fin dai primi decenni del secolo un crocevia di artisti di ogni genere e provenienza. Estro e follia, arte e letteratura, cinema e musica, ricchezza e povertà, successi planetari e fallimenti miserabili, esaltazioni estetiche e abuso di sostanze vi si mescolano senza sosta: fra i suoi corridoi nascono, lavorano, amano e si consumano generazioni intere di personalità creative, tanto che qualsiasi lista di celebrità sarebbe riduttiva. Antonín Dvořák, Mark Twain, Thomas Wolfe, Virgil Thomson, Gore Vidal, William Burroughs, Allen Ginsberg, Tennessee Williams, Bob Dylan, Janis Joplin, Jackson Pollock, Jimi Hendrix, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Patti Smith, Robert Mapplethorpe, Stanley Kubrick, Andy Warhol, Christo, Sam Shepard, Sid Vicious, Dee Dee Ramone, Madonna, Marianne Faithfull: la leggenda che circonda questa “fantasilandia comunitaria”, come la definiva Arthur Miller (che vi scrisse la sua opera teatrale dedicata a Marilyn Monroe), è semplicemente colossale, e conta i suoi morti e i suoi delitti (dal poeta Dylan Thomas che vi si uccise a sorsate di whisky, a Nancy Spungen, la fidanzata di Sid Vicious, il leader dei Sex Pistols, che vi fu trovata accoltellata nel 1978).
Basandosi su anni di ricerche e innumerevoli testimonianze, Sherill Tippins ci offre la cronaca più esatta e coinvolgente che sia mai stata scritta di questa grandiosa e tragica epopea. Come ne ha scritto un critico americano, leggere questo libro è l’esperienza più simile ad avere in tasca la chiave di una stanza del Chelsea degli anni d’oro che oggi ci possa capitare.

Storie di case : abitare l'Italia del boom, 
a cura di Filippo De Pieri, Bruno Bonomo, Gaia Caramellino, Federico Zanfi     
         
Le storie raccolte in questo libro raccontano un paesaggio ordinario: quello degli edifici residenziali collettivi costruiti nelle grandi città italiane nei decenni di espansione successivi alla seconda guerra mondiale. Case che hanno rappresentato per molte famiglie la possibilità di raggiungere il traguardo della proprietà di un alloggio o di accedere a una dimensione abitativa autonoma, incarnando un ideale di benessere e di vita moderna che si sperava duraturo e destinato a trasmettersi tra più generazioni. Oltre venti ricercatori di diversa formazione ricostruiscono nel dettaglio la storia di altrettanti edifici o complessi situati a Milano, Roma e Torino. Le case vengono studiate dal momento della loro progettazione e costruzione fino a oggi.  









Al centro dell’attenzione sono da un lato i modelli progettuali, le strategie professionali, le scelte politiche e amministrative, dall’altro i cambiamenti della popolazione, le forme dell’abitare, la vita quotidiana, le trasformazioni degli spazi e delle strutture: in una parola, i molti modi in cui una pluralità di soggetti e di culture ha contribuito a dar forma a un paesaggio residenziale e a modificarlo nel corso del tempo. Basato su un incrocio sistematico tra fonti differenziate (archivistiche, a stampa, iconografiche e orali) e su una contaminazione tra approcci e domande provenienti da vari ambiti disciplinari (storia sociale, storia dell’architettura e dell’urbanistica, storia della cultura materiale e dei consumi), il volume propone uno sguardo inedito su aspetti fondamentali della storia delle grandi città italiane che sono finora rimasti sullo sfondo di molte ricerche. Dietro il loro apparente anonimato, gli edifici studiati in queste pagine sono stati al centro di piccole scelte quotidiane come di grandi strategie individuali e collettive: varcare la loro soglia significa esplorare un importante patrimonio di esperienze, memorie e narrazioni.

Gio Ponti : la casa all'italiana di Fulvio Irace
Personaggio controverso e spesso frainteso, Gio Ponti ha interpretato emblematicamente la cultura architettonica italiana per più di quarant'anni, ma fino alla pubblicazione di questo libro il suo lavoro non è mai stato oggetto di una ricerca organica e accurata. Avvalendosi anche di materiali inediti, Fulvio Irace ha compiuto in questa sede il primo tentativo di catalogare una produzione vasta e multiforme. Con la sua opera di progettista e di animatore di riviste come "Domus" e "Stile" e con la conduzione di importantissime Triennali, Gio Ponti ha svolto un ruolo preminente nel cogliere le tendenze e le aspettative della borghesia colta e ha inseguito per tutta la sua lunga carriera il sogno di realizzare abitazioni in grado di coniugare il rapporto tra passato e presente in una pacificata e radicata idea dell'abitare: la "casa all'italiana". Tra le sue opere, le "case tipiche" a Milano, villa Planchart a Caracas e soprattutto il grattacielo Pirelli a Milano, attuale sede della Regione Lombardia. Ulteriori informazioni negli Allegati.


La filosofia dell'arredamento : i mutamenti del gusto nella decorazione interna attraverso i secoli di Mario Praz
Un volume che traccia la storia degli uomini come si rispecchia negli ambienti in cui hanno vissuto nel corso dei secoli. A rendere lo spirito di questi ambienti e dei tempi che essi rappresentano occorreva uno scrittore d'eccezione. Mario Praz, oltre alle doti di ricercatore filologico e di storico della letteratura e dell'arte, possedeva quelle del malioso saggista, e a tali doti accompagnava la passione del collezionista. La documentazione letteraria va di pari passo con quella iconografica, frutto di un'appassionata raccolta di raffigurazioni contemporanee che conservano inalterata l'impronta del gusto del tempo. Questi interni sono descritti dal vivo sotto entrambi gli aspetti: interni in funzione di personaggi nella narrativa, ma interni per sé nella pittura, soprattutto da quando nell'ultimo quarto del Settecento comparvero le prime raffigurazioni di stanze senza figure umane, un nuovo genere di pittura che sta tra il progetto d'arredamento, la fedele riproduzione di un ambiente con tutte le vestigia della vita ivi vissuta, e la stanza come paesaggio interiore.

Dalla cucina alla città : Margarete Schutte-Lihotzky,  a cura di Lorenza Minoli
“Noi architetti abbiamo il dannato e sacrosanto dovere ed obbligo di romperci il capo su che cosa si debba fare nell'edilizia abitativa per facilitare la vita alle donne e agli uomini (...). Fin dall'inizio volli occuparmi sempre e solo di edilizia abitativa, con tutto quello che ci vuole: istituzioni per l'infanzia, scuole, biblioteche, ambulatori... ciò che appunto si chiama edilizia sociale.”
Queste poche parole riassumono il valore della professione per Margarete Schütte-Lihotzky (Vienna, 1897), prima donna architetto austriaca, testimone e protagonista dell'architettura del nostro secolo. Al miglioramento delle condizioni di vita delle classi disagiate e delle categorie deboli, in particolare donne e bambini, è dedicata tutta la sua vita e la sua opera, fin dai primi lavori con le cooperative di interesse pubblico che realizzano le Siedlungen operaie, al progetto Winarskyhof, uno dei più importanti interventi per abitazioni popolari realizzato dalla Vienna "rossa" degli anni Venti. Ma la sua ricerca si allarga allo studio dell'ambiente domestico ed in particolare della cucina che si impegna a riorganizzare secondo dimensioni ed arredi più razionali. Da questi studi nasce la cucina di Francoforte, prima "cucina moderna", progetto che ha largamente influenzato tutta la successiva produzione di questo ambiente. Negli stessi anni, l'impegno per il miglioramento della condizione femminile è alla base degli interessanti progetti dell'"abitazione per donne che lavorano e vivono sole", mentre gli studi sugli spazi per i bambini portano Margarete Lihotzky a progettare scuole, asili e parchi gioco secondo criteri che verranno a lungo riproposti. Accanto alla professione c'è poi la vita politica, la resistenza antifascista, la condanna a morte tramutata in carcere a vita, sino alla liberazione nel '45, ma non ci fu mai una distinzione tra impegno professionale, politico e civile poiché il valore della sua opera sembra trovarsi nell'indivisibilità degli sforzi, nell'inscindibilità di teorie e prassi, di pensieri ed azioni. E tutto ciò si esprime nel "fare architettura", perché, in fondo, "all'architettura nessuno può sfuggire. Ognuno di noi si muove continuamente in spazi costruiti, interni o urbani. Questi producono in noi, in modo conscio od inconscio, benessere o disagio, tranquillità o agitazione, armonia o disarmonia..."
Questo volume, traduzione dell'originale M.S.L. Soziale Architektur (Vienna, 1996) presenta, per la prima volta nel nostro paese, l'opera di Margarete Schütte-Lihotzky.   

Ho costruito una casa da giardiniere di Gilles Clément
Non lontano dalla casa di famiglia che ormai gli è vietata, in quella valle delle Farfalle dove, bambino, faceva le sue prime esplorazioni da entomologo, Gilles Clément costruisce letteralmente con le proprie mani una capanna di pietre. Nel profondo della campagna francese degli anni Settanta, egli immagina intorno alla sua nuova casa un giardino in movimento, un osservatorio delle specie, un laboratorio della natura in cui trovano già spazio tutte le preoccupazioni ambientali che lo renderanno un paesaggista celebre e rispettato nel mondo.








«Quando ho comprato questo posto per venirci a vivere il mio progetto non era quello di costruire una casa con un giardino intorno. Era semmai il contrario: volevo abitare in un giardino. La mia vita da giardiniere inizia qui, e qui prosegue e si rinnova perpetuamente. Tutti i miei lavori, alcuni dei quali su scala ben più ampia, trovano la loro origine in questo luogo. Al principio non avevo un’idea precisa su come risistemarlo. Non mi mancavano tuttavia i metodi e i modelli appresi durante i miei studi alla Scuola Nazionale di orticoltura o scoperti nei miei primi lavori. Ma qui si trattava del mio giardino – della mia infanzia, potrei dire. Ho cercato allora di dispormi in dialogo con la natura. Prima di toccare qualsiasi cosa volevo capire, almeno un po’, quel che accadeva sotto i miei occhi e che mi sfuggiva quasi completamente. Abbiamo una conoscenza limitata della diversità e una nozione quasi nulla delle specificità comportamentali degli elementi che si muovono all'interno di questa diversità. Non siamo che ai primi balbettii nella riscoperta di quella natura così familiare ai nostri antenati, e che ci è divenuta completamente ermetica. Così mi feci quanto più silenzioso possibile. Ero come un invitato attento a non disturbare gli ospiti. Ero in visita presso le piante e gli animali». – G. C.


Reinventa la tua casa di Henrietta Thompson      

Riciclaggio, riuso e fantasia: 500 idee da cui partire per reinventare la tua casa, all'insegna dello stile e del design. Il primo manuale pratico per ripensare agli oggetti quotidiani in contesti nuovi, per ottenere a costo zero una casa da rivista. Una guida pratica per non rimanere mai a corto di idee su come arredare la tua casa, risparmiando denaro, proteggendo la natura e rimanendo sempre al passo con le nuove tendenze. Quando qualcosa non ti piace più, trasformala! Avreste mai pensato di trasformare una porta inutilizzata in una scrivania ultramoderna o una valigia ormai logora in una raffinatissima cuccia per fido o magari di tramutare le stole di una scopa in un divertentissimo porta carte e un vecchio paio di collant in un fantastico fermaspifferi? All'interno del volume, numerose illustrazioni e schede "step by step" vi mostreranno e guideranno nella realizzazione dei più svariati complementi d'arredo, sempre sofisticati e di design.

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