Lireta
non cede : diario di una ragazza albanese di Lireta Katiaj
Il destino di
Lireta pare segnato. Smetterà di studiare e dovrà sposare l’uomo scelto dal
padre violento. Ma lei non ci sta, e nel 1995, mentre il suo Paese finisce nel
caos, scappa di casa: decide, come tante sue coetanee, di recidere il cordone
ombelicale che le lega alla patria, alla famiglia, alla lingua, alla terra di
origine, per approdare ad un nuovo mondo, sconosciuto, illusorio, salvifico:
l’Italia falsamente accogliente e luccicante di benessere raccontata dai
pifferai magici delle televisioni nazionali, pubbliche e soprattutto private. La
fuga, in cattiva compagnia,
finisce male più volte, finché riesce a raggiungere l’Italia su un affollatissimo barcone. Una storia che
racconta la forza di una donna capace di ribellarsi e di trovare la felicità.
“Mi guardo intorno e vedo stanze
e corridoi riempiti da chili e chili di ricordi, raccolti in milioni di pagine,
assemblate in migliaia di diari, lettere e memorie, un festival del ricordo
insomma, un inno perenne alla memoria [...]. Sono il tentativo tenace di
opporre resistenza alla dimenticanza, in una battaglia impari tra poche
migliaia di sopravvissuti contro milioni di esistenze di cui non sapremo mai
nulla.”
C’è un posto, in Toscana, dove sono custodite le storie degli
italiani: è l’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano (Arezzo), fondato nel 1984 da
Saverio Tutino, giornalista, già inviato per alcune tra le maggiori testate
nazionali. Oggi i manoscritti depositati sono oltre seimila e il loro numero
cresce di anno in anno. L’Archivio è un luogo unico, nato per raccogliere e
conservare i diari, le memorie e gli epistolari della gente comune.
Ed è proprio qui che Mario, il narratore di questo romanzo-verità, rimane inavvertitamente
chiuso una notte, iniziando così un viaggio che lo porterà a incontrare, scalino
dopo scalino, stanza dopo stanza, gli abitanti di questo edificio “magico”, che
ogni notte si animano per raccontare la propria storia. Per esempio quella della
contadina Clelia Marchi, che scrisse la sua vita su un lenzuolo a due piazze,
quella del cantoniere siciliano Vincenzo Rabito, semianalfabeta, che si chiuse
in una stanza per imparare a usare la macchina da scrivere raccontandosi in
oltre mille pagine, o ancora quella di Orlando Orlandi Posti, affidata a
messaggi clandestini scritti dal carcere di via Tasso a Roma prima di essere
fucilato alle Fosse Ardeatine...
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