sabato 27 gennaio 2018

Lireta non cede : diario di una ragazza albanese di Lireta Katiaj
Il destino di Lireta pare segnato. Smetterà di studiare e dovrà sposare l’uomo scelto dal padre violento. Ma lei non ci sta, e nel 1995, mentre il suo Paese finisce nel caos, scappa di casa: decide, come tante sue coetanee, di recidere il cordone ombelicale che le lega alla patria, alla famiglia, alla lingua, alla terra di origine, per approdare ad un nuovo mondo, sconosciuto, illusorio, salvifico: l’Italia falsamente accogliente e luccicante di benessere raccontata dai pifferai magici delle televisioni nazionali, pubbliche e soprattutto private. La fuga, in cattiva compagnia, finisce male più volte, finché riesce a raggiungere l’Italia su un affollatissimo barcone. Una storia che racconta la forza di una donna capace di ribellarsi e di trovare la felicità.

 “Mi guardo intorno e vedo stanze e corridoi riempiti da chili e chili di ricordi, raccolti in milioni di pagine, assemblate in migliaia di diari, lettere e memorie, un festival del ricordo insomma, un inno perenne alla memoria [...]. Sono il tentativo tenace di opporre resistenza alla dimenticanza, in una battaglia impari tra poche migliaia di sopravvissuti contro milioni di esistenze di cui non sapremo mai nulla.
 C’è un posto, in Toscana, dove sono custodite le storie degli italiani: è l’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano (Arezzo), fondato nel 1984 da Saverio Tutino, giornalista, già inviato per alcune tra le maggiori testate nazionali. Oggi i manoscritti depositati sono oltre seimila e il loro numero cresce di anno in anno. L’Archivio è un luogo unico, nato per raccogliere e conservare i diari, le memorie e gli epistolari della gente comune. 
Ed è proprio qui che Mario, il narratore di questo romanzo-verità, rimane inavvertitamente chiuso una notte, iniziando così un viaggio che lo porterà a incontrare, scalino dopo scalino, stanza dopo stanza, gli abitanti di questo edificio “magico”, che ogni notte si animano per raccontare la propria storia. Per esempio quella della contadina Clelia Marchi, che scrisse la sua vita su un lenzuolo a due piazze, quella del cantoniere siciliano Vincenzo Rabito, semianalfabeta, che si chiuse in una stanza per imparare a usare la macchina da scrivere raccontandosi in oltre mille pagine, o ancora quella di Orlando Orlandi Posti, affidata a messaggi clandestini scritti dal carcere di via Tasso a Roma prima di essere fucilato alle Fosse Ardeatine...

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