Il vestito dei libri di Jhumpa
Lahiri
Una articolata riflessione sulle
copertine dei libri di Jhumpa
Lahiri, Premio Pulitzer per la narrativa. L’autrice racconta del fascino che
provava da bambina per le divise scolastiche, che le davano il senso di
appartenenza. E poi la propensione per abiti diversi da quelli che volevano i
suoi genitori, per sentirsi più se stessa. I vestiti diventano una metafora per
la copertina dei libri. Ci sono vestiti che vanno bene, così come alcune
copertine risultano perfette per il libro che ricoprono. Alcuni vestiti, però,
non calzano a pennello e anche alcune copertine possono correre questo rischio.
Di fatto, come nota Jhumpa Lahiri, le copertine non servono più per assolvere
il mero compito di tenere insieme le pagine del libro, ma diventano un
messaggio a se stante.
E oggi lo vediamo, soprattutto con alcune case editrici:
in copertina c’è di tutto. Il nome dell’autore e il titolo, naturalmente. Poi
l’immagine, che è già un’interpretazione. E poi sovente i testi in quarta di
copertina, le bandelle, le opinioni di questo o quel critico. E, ciliegina
sulla torta, le fascette. Scrive
Jhumpa Lahiri: “Personalmente trovo che mettere i pareri di altre persone sulla
copertina sia inopportuno. Voglio che le prime parole che il lettore incontra
in un mio libro siano scritte de me”. A Jhumpa Lahiri piace l’idea del libro
nudo, cioè di un testo in cui la copertina sia ridotta all’osso: autore e
titolo. Pur riconoscendo che oggi le copertine hanno grande importanza nella vendita
del libro … forse troppa.
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