mercoledì 15 marzo 2017

Il vestito dei libri di Jhumpa Lahiri

Una articolata riflessione sulle copertine dei libri di Jhumpa Lahiri, Premio Pulitzer per la narrativa. L’autrice racconta del fascino che provava da bambina per le divise scolastiche, che le davano il senso di appartenenza. E poi la propensione per abiti diversi da quelli che volevano i suoi genitori, per sentirsi più se stessa. I vestiti diventano una metafora per la copertina dei libri. Ci sono vestiti che vanno bene, così come alcune copertine risultano perfette per il libro che ricoprono. Alcuni vestiti, però, non calzano a pennello e anche alcune copertine possono correre questo rischio. Di fatto, come nota Jhumpa Lahiri, le copertine non servono più per assolvere il mero compito di tenere insieme le pagine del libro, ma diventano un messaggio a se stante.



 E oggi lo vediamo, soprattutto con alcune case editrici: in copertina c’è di tutto. Il nome dell’autore e il titolo, naturalmente. Poi l’immagine, che è già un’interpretazione. E poi sovente i testi in quarta di copertina, le bandelle, le opinioni di questo o quel critico. E, ciliegina sulla torta, le fascette. Scrive Jhumpa Lahiri: “Personalmente trovo che mettere i pareri di altre persone sulla copertina sia inopportuno. Voglio che le prime parole che il lettore incontra in un mio libro siano scritte de me”. A Jhumpa Lahiri piace l’idea del libro nudo, cioè di un testo in cui la copertina sia ridotta all’osso: autore e titolo. Pur riconoscendo che oggi le copertine hanno grande importanza nella vendita del libro … forse troppa.

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