mercoledì 15 marzo 2017

La città interiore di Mauro Covacich


Con La città interiore Covacich si avventura sul terreno della ricerca memoriale, facendo di questo libro un vero romanzo di formazione, ma anche il «suo» romanzo su Trieste. Covacich non si sofferma sulle componenti politiche destabilizzanti e sui momenti cupi della Storia, preferendo risalire alle origini di una cultura ibrida di cui è diventato il più recente e convinto erede: si parte da un bambino di sette anni che attraversa una Trieste appena liberata dai tedeschi, nel 1945, reggendo una sedia sulla testa, seguendo una sua bussola interna che lo conduce in braccio ai salvatori dell’Armata Inglese, e si continua con questo bimbo ormai adulto e padre, che nel 1972 accompagna suo figlio – anche lui di sette anni – a contemplare la città dall’alto, a vedere il fumo di un attentato di Settembre Nero. Due italiani della Zona A ormai divisi dai «cugini» istriani della Zona B, smarriti ma convinti di vivere nella dimensione di un esilio perpetuo che ha cambiato la Storia. Quel bambino del 1972 è Mauro Covacich, che da adulto torna sui passi delle proprie radici, recuperando il tracciato morale e culturale della sua stessa famiglia, dai nonni in odore di esilio a remote figure di oscuri ma geniali eroi locali che hanno comunque lasciato un segno nel destino dell’autore. Incontriamo poi Freud e Svevo, Joyce e Saba, il musicista Bibalo e il poeta Ivan Goran (un Kovačić) cantato da Éluard, su fino a Magris e a un imprevisto Coetzee... Ma l’autore evoca qualcosa di più che il loro rapporto con la città di Trieste, e la sua non è una saga familiare, per quanto interessante per la vivacità dei ritratti e delle vicende. Ad attrarre è il confronto con una cultura e una storia, una cultura determinata da una storia, una storia che è stata e continua a essere un incrocio stupefacente e drammatico di culture.

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