L'industria della felicità : come
la politica e le grandi imprese ci vendono il benessere di William Davies
La bioenergia, la psicologia positiva, i corsi di yoga, le pratiche di
meditazione, i guru e gli sciamani, il fitness, i seminari sul benessere, i
manuali di auto-aiuto: per provare a essere felici non c'è che l'imbarazzo
della scelta. E poi, come contraltare, c'è l'uso (quando non l'abuso) di
ansiolitici e antidepressivi, per curare tristezza, paura e quel "male di
vivere" che sembra essere il tallone d'Achille dei Paesi più sviluppati.
In mezzo a queste due sponde, scorre l'ambitissimo mare della felicità che ogni
uomo su questa Terra vorrebbe navigare. Stare bene è probabilmente l'obiettivo
più condiviso al mondo tra gli esseri umani, quello più logico e naturale, ma
probabilmente anche il più difficile da raggiungere. E nella società dei
consumi è proprio la conquista della felicità l'ambiziosa sfida che il mercato
si propone di vincere, nella convinzione che tutto possa essere venduto e
quindi comprato. A spiegare le nuove frontiere dell'economia mondiale è il
sociologo ed economista politico inglese William Davies in questo libro.
E' la felicità l'assillo degli anni 2000, non più il denaro.
Soprattutto perché se non si è felici non si lavora bene, non si produce e non
si compra. Dunque è vero che "i soldi non fanno la felicità", e ormai
ci credono sia i politici che i manager d'azienda. Sono infatti le emozioni a
farci stare bene. Si potrebbe dire che il capitalismo - con il mantra del
profitto, il mito della produttività 24 ore su 24, le tecnologie digitali
pervasive, la dicotomia tra vincente e perdente - abbia fatto da substrato a
tutti i problemi di alienazione e ansia per i quali ora cerca la soluzione
proprio attraverso la misurazione delle emozioni. Il dolore e la gioia, la
paura e l'eccitazione, non sono sentimenti metafisici e impalpabili, ma
rappresentano fenomeni che si possono misurare e a cui si può dare un valore,
anche economico. Ecco perché la felicità è diventata una vera e propria
industria, con le aziende che utilizzano le informazioni ottenute con nuove
tecnologie e ricerche per "formare una mappa precisa di quali zone, stili
di vita, tipi di lavoro e forme di consumo generino il miglior benessere
possibile". Detta così potrebbe anche sembrare una grande opportunità,
perché si avrebbe la ricetta dell'essere felici. E anche Davies di certo non
vuole combattere la felicità, ma vuole mettere in luce dei rischi:
ripercorrendo il '900 tra storia, sociologia, scienza, marketing e filosofia
politica, l'autore dimostra che oggi siamo arrivati al paradosso di considerare
le emozioni qualcosa da acquistare e vendere. Se il benessere può essere
davvero reso oggettivo, e quindi misurabile per mezzo di specifici indicatori,
il suo controllo è qualcosa di appetibile per il potere economico e politico.
E' qui, in questa potenziale diminuzione della libertà e nella manipolazione degli
individui, che risiede secondo Davies il principale rischio nascosto dietro
l'"economia della felicità".
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