Tante piccole sedie rosse di Edna
O'Brien
In una cittadina irlandese immaginaria dove la monotonia dei
giorni è pari solo alla bellezza della natura e al rispettoso timore di Dio,
irrompe un misterioso straniero. Comincia così, quasi come una ballata, il
diciassettesimo romanzo di Edna O’ Brien, Tante piccole sedie rosse.
Ottantasette anni, una delle scrittrici più celebri e ribelli del paese (sei
suoi romanzi sono stati proibiti), non perde la voglia di raccontare
l’inquietudine delle «ragazze di campagna» nella sua isola verdissima e
turbolenta. Stavolta la protagonista è una donna sposata con un marito più
anziano, incapace di guizzi, se non quello di biascicarle quanto è bella e
leale, ogni tanto, con voce impastata dallo sherry. Si chiama Fidelma, ama
leggere romanzi ed è pronta ad ardere come un ciocco. Ovviamente il forestiero
che si presenta come guaritore, sessuologo, conoscitore di erbe e fragilità
femminili, è un perfetto acciarino per il falò della passione. Bastano alcune
passeggiate con parole accorte, il calore magnetico delle sue mani, perché
Fidelma riscopra la dolcezza tormentosa dell’amore. Per la quale, tuttavia,
dovrà pagare un prezzo salato. Non solo perché è sposata, ma anche perché lo
straniero viene dai Balcani e ha un mostruoso passato di criminale di guerra
nell’assedio di Sarajevo. Il titolo del romanzo allude alle 11541 sedie rosse
che furono disposte nel 2012 sul principale corso di Sarajevo per commemorare
le vittime dei cecchini durante l’assedio. Dopo la prima parte, la protagonista
affronta una dolente espiazione tra migranti e marginali nella Londra cinica
che vuole la Brexit, e poi, nella terza parte, a fronteggiare il mistero del
male all’Aja, nel tribunale internazionale dove si processano i crimini contro
l’umanità.
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