Galizia : viaggio nel cuore scomparso della Mitteleuropa di Martin Pollack
Con un testo di Claudio Magris
Galizia. Non quella nel nord-ovest della
Spagna, affacciata sull’oceano. L’altra. Quel baricentro geografico e simbolico
della Mitteleuropa che la storia ha cancellato. Questa Galizia sconosciuta, la
cui memoria nell’Europa occidentale è andata perduta, la racconta Martin
Pollack in questo libro affascinante e necessario: un itinerario onirico
all’interno di un luogo che non esiste più, ma anche una testimonianza preziosa
e dettagliata per comprendere le lacerazioni dell’ Europa di oggi. Peculiare la
sua forma nella quale la narrazione, il documento storico e il brano letterario
o poetico d’epoca si intersecano fino costituire un paesaggio che è, in prima
istanza, un luogo dell’anima. Sono infatti le pagine di scrittori e poeti a
raccontare questa terra… Incontriamo il poeta e giornalista Karl
Emil Franzos mentre percorre in treno le regioni tra i fiumi San e
Zbruč, schierandosi nei suoi reportage sempre dalla parte degli oppressi.
Incontriamo ancora Ivan Franko, «figura
esemplare della miscela di culture nell’impero asburgico», il quale
scriveva con la medesima facilità in ruteno, tedesco e polacco. Poeti oggi poco
noti come l’ucraino Hnat Chotkevyč
narrano le gesta dei briganti che percorrono la Galizia; e con Józef Wittlin, autore del romanzo Il sale della terra, assistiamo
allo sconcerto di questi popoli di fronte al deflagrare inaspettato del primo
conflitto mondiale. E ancora Joseph
Roth, il figlio più celebre di queste terre, instancabile e
geniale cantore della Finis Austriae. Nel 1924, su incarico del Frankfurter
Zeitung, compie un viaggio nella sua terra natale, ispirazione costante
della sua opera letteraria. Ne emergono paesaggi dallo «splendore
sbiadito», luoghi remoti dove lo straniero è inevitabilmente destinato a
perdersi.
Le storie in Galizia sono
infinite: c’è il boom petrolifero di Boryslav, una lunga strada polverosa
costeggiata dalle baracche costruite dai cercatori di nafta attirati, scrive
Roth, dal “puzzolente miracolo del petrolio”; il lussuoso palazzo del rabbino
taumaturgo di Sadhora, meta di pellegrinaggi perfino per gli ebrei di Odessa e
Mosca; i poveri contadini ruteni di Naguyevici, che sognavano di emigrare in
Brasile; gli shtetl ebraici, dove regnava la povertà più nera, con le loro misere casette di
legno, l’osteria, le propination di acquavite, i
venditori ambulanti, i tessitori di tallit, i sarti, i fornai, i calzolai,
tutti con un’unica idea in testa: scappare e raggiungere l’America per fare
fortuna. A contenere tutte queste storie più o meno piccole c’è la grande
storia, quella di un universo che era un crogiolo di popoli, lingue e religioni
e che è stato annichilito, cancellato, ridotto a uno scheletro dalla guerra e
dal nazismo.
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