lunedì 8 maggio 2017

La rottura di Hélène Bessette

Il romanzo è l’epistolario di una separazione, quella tra il pastore protestante Georges e Dora, la moglie che ha abbandonato la scena domestica, lasciando il marito, i figli, l’intera comunità. Dora è, come scrive Annalisa Lombardi nella postfazione, «l’assente destinataria dell’intera corrispondenza». Assente non solo perché lontana, ma anche, e soprattutto, perché relegata nel silenzio. Mancano infatti le sue lettere, lasciate solo intuire tra le righe di quelle scritte dal marito, quarantaquattro missive che si susseguono una dopo l’altra, come monologhi senza risposta, in quello che alla fine sembra essere un vero e proprio diario intimo, o una confessione. È quella di Georges infatti, come ricorda ancora Lombardi, «la parola che fa il romanzo», una parola di cui il silenzio di Dora è l’intrinseca contestazione, il negativo («l’opposizione del negativo scritta in bian-co», come dice Bessette). Una sorta di decostruzione silenziosa che mette in crisi, portandola letteralmente al punto di rottura, la continuità discorsiva – del tutto illusoria e inautentica – del linguaggio.

«La letteratura oggi, per me, è Hélène Bessette, nessun altro in Francia»

Marguerite Duras

«Ecco una autentica scrittrice maledetta, una delle autrici più originali dei nostri tempi.

Finalmente qualcosa di nuovo»

Raymond Queneau


Hélène Bessette (1918-2000) è una delle voci più potenti e meno conosciute della letteratura francese del ‘900. Autrice di tredici romanzi comparsi fra il 1953 e il 1973. Dopo un lungo silenzio l’editoria francese la sta riscoprendo e rilanciando come una delle autrici più importanti di quella letteratura.

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