La rottura di Hélène Bessette
Il
romanzo è l’epistolario di una separazione, quella tra il pastore protestante
Georges e Dora, la moglie che ha abbandonato la scena domestica, lasciando il
marito, i figli, l’intera comunità. Dora è, come scrive Annalisa Lombardi nella
postfazione, «l’assente destinataria dell’intera corrispondenza». Assente non
solo perché lontana, ma anche, e soprattutto, perché relegata nel silenzio.
Mancano infatti le sue lettere, lasciate solo intuire tra le righe di quelle
scritte dal marito, quarantaquattro missive che si susseguono una dopo l’altra,
come monologhi senza risposta, in quello che alla fine sembra essere un vero e
proprio diario intimo, o una confessione. È quella di Georges infatti, come
ricorda ancora Lombardi, «la parola che fa il romanzo», una parola di cui il
silenzio di Dora è l’intrinseca contestazione, il negativo («l’opposizione del
negativo scritta in bian-co», come dice Bessette). Una sorta di decostruzione
silenziosa che mette in crisi, portandola letteralmente al punto di rottura, la
continuità discorsiva – del tutto illusoria e inautentica – del linguaggio.
«La letteratura oggi, per me, è Hélène Bessette, nessun
altro in Francia»
Marguerite Duras
«Ecco una autentica scrittrice maledetta, una delle
autrici più originali dei nostri tempi.
Finalmente qualcosa di nuovo»
Raymond Queneau
Hélène Bessette (1918-2000) è una delle voci più potenti e meno
conosciute della letteratura francese del ‘900. Autrice di tredici romanzi
comparsi fra il 1953 e il 1973. Dopo un lungo silenzio l’editoria francese la
sta riscoprendo e rilanciando come una delle autrici più importanti di quella
letteratura.
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