Mapocho di Nona Fernandez
La
scintilla narrativa è il ritorno della Bionda a Santiago. L’Indio, il fratello
con cui ha vissuto in passato un amore incestuoso, la cerca e la invita a
tornare a casa, dopo la morte della madre di entrambi, che li ha separati. Lei
e il fratello, come altri personaggi, sono fantasmi che vagano tra le macerie
di Santiago, hanno contorni poco definiti, sono quasi proiezioni oniriche e il
romanzo è un labirinto di ricordi, segreti e bugie; nel reticolo di storie una
riguarda anche il Colonnello (ovvero l’immondo Augusto Pinochet), beccato dai
suoi stessi militari, non in alta uniforme, ma con parrucca, vestaglia di seta
rossa, scarpe intonate e mutandine di pizzo nero al vento, in compagnia delle
«pazze», allegra combriccola di travestiti.
Nel
Mapocho, fiume della capitale cilena, finirono molti corpi senza vita dopo il
colpo di Stato del 1973 che depose Salvador Allende: un corso d’acqua pieno di
liquami, tutt’altro che limpido, metafora di una ferita non rimarginabile, di
una nazione forse irredimibile.
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