lunedì 29 maggio 2017

Una storia quasi soltanto mia di Licia Pinelli, Piero Scaramucci


"Questa è la storia che Licia Pinelli mi raccontò all'inizio degli anni ottanta. Era rimasta appartata, quasi silenziosa per una decina d'anni, da quell'inverno del 1969, quando la bomba fece strage alla Banca dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano, suo marito Pino, ferroviere anarchico, precipitò da una finestra della questura e l'Italia scoprì che la democrazia era sotto attacco. Licia si era tenuta lontana dai riflettori concentrandosi in una tenace battaglia per ottenere giustizia dalla Giustizia. Non la ottenne. Dopo dieci anni Licia fece forza sul suo severo riserbo e si decise a raccontare di sé e di quel che era successo. Scelse lei stessa di parlare e mi chiese di intervistarla. Non fu un percorso facile, per Licia fu come reimparare a parlare e a guardare dentro se stessa dopo anni di silenzio e autocensura. Oggi, a distanza di tanto tempo, questo racconto appare come un documento di rara verità, chi vorrà scrivere la storia di quegli anni durissimi non ne potrà prescindere."           Piero Scaramucci



Bang bang di Piero Mario Fasanotti e Valeria Gandus
Dalla storia del boia di Albenga all'omicidio di Milena Sutter, dalla banda del Circeo ai delitti di mafia, la storia italiana degli anni Settanta viene ricostruita attraverso i grandi fatti di cronaca nera. Sono gli anni di piombo e della strategia della tensione, nei quali la politica determinerà molti eventi tragici, ancora avvolti nel mistero, in un paese che vota a favore del divorzio, percorso dalla contestazione studentesca e dalla protesta operaia.




I cani del Sinai : con una Nota 1978 per Jean-Marie Straub di Franco Fortini

“Se tu non vuoi più credere alla verità, nessuno vorrà più credere a te”. Con la citazione di queste parole che Zelman Lewental scrisse nell'agosto del 1944 ad Auschwitz prima di essere ucciso dai nazisti, si chiude I cani del Sinai, uno dei libri più intensi di Franco Fortini. Libro che sfugge ad ogni definizione, attraversa e supera ogni genere: pamphlet e autobiografia, racconto e saggio; prosa tesissima e lapidaria, scandita in brevi paragrafi, ma obbediente ad una metrica autonoma e rigorosa come in una poesia. Scritto “a muscoli tesi, con rabbia estrema” nell'estate del '67 a ridosso della “guerra dei sei giorni”, I cani del Sinai è un libro contro: contro “quanti amano correre in soccorso ai vincitori”, contro “il diffuso e razzistico disprezzo antiarabo”, contro “l'esaltazione della civiltà e della tecnica 'moderne' incarnate in Israele”; ma è anche e soprattutto il luogo in cui Fortini volle “chiarire a se stesso la storia di un combattuto rapporto con le proprie origini”. E forse proprio da questa doppia lettura di presente e passato, dalla volontà ostinata di tenere insieme l'interpretazione di sé e della storia (di sé nella storia) e dalla speranza di “disegnare il futuro [.] segnando a dito, con esattezza, le fosse di quel che non c'è, le lacune del reale”, nasce la forza, non intaccata dal tempo, di queste pagine, da cui Jean-Marie Straub e Danièle Huillet trassero un film a sua volta memorabile.

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