Volgare eloquenza di Giuseppe Antonelli
Nel momento
stesso in cui si mitizza il popolo sovrano, lo si tratta in realtà come un
popolo bue. Qualcuno a cui rivolgersi con frasi ed espressioni terra terra,
cercando di risvegliarne bisogni e istinti primari. Da questa idea di popolo
discende un’eloquenza volgare, rozza, semplicistica, aggressiva.
L’epoca in cui viviamo si definisce post-ideologica.
È
il tempo della post-poli_ca e della post-verità.
Ovvero (cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia) politica e
verità da post. Parole e slogan virali che fanno il giro della rete
propagandando spesso opinioni su fatti mai esistiti. Quello a cui ci si
riferisce con questa sfilza di post
è, in realtà, un pensiero prepolitico. E la lingua che lo veicola, più che una
neolingua, è una veterolingua che invece di mirare al progresso vorrebbe farci
regredire, riportandoci agli istinti e alle pulsioni primarie. Indietro, o
popolo!
Dal «Votami
perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te» si è passa_ al «Votami perché
parlo (male) come te». Come la pubblicità, come la televisione, anche la
politica alimenta il narcisismo dei destinatari, i quali – lusingati –
preferiscono riflettersi che riflettere. Il meccanismo del ricalco espressivo
innesca una continua corsa al ribasso. Un circolo vizioso che toglie al
discorso politico qualunque forza propulsiva, qualunque dinamismo. Non una
risposta ai bisogni degli italiani, ma pura ecolalia: ripetizione ridondante.
Così le parole stanno paralizzando la politica.
Nessun commento:
Posta un commento