E adesso
pover'uomo? di Hans Fallada
Le vicende di un giovane commesso, di sua moglie, del loro
bambino. Una famiglia come tante della piccola borghesia tedesca alle prese con
le crescenti difficoltà economiche e con lo spettro della disoccupazione. Sullo
sfondo una Germania che si avvia verso il Nazismo.
Dalla seconda di copertina della prima edizione
italiana (Mondadori, 1933) una che sembra una frase scritta oggi :
“In un mondo nel quale si possono contare circa
venti milioni di disoccupati e in un paese dove la gioventù che esce dalle scuole
si vede sbarrata ogni via e ogni occupazione proficua, la storia di un
disoccupato diventa quasi simbolica e ci interessa di per sé”.
«È da persone come
queste, come i coniugi Pinneberg – modesti pazienti onesti – che sono venuti
fuori i nazisti?»,
induce a chiedersi Beniamino Placido, a commento di E adesso, pover’uomo?
Fu pubblicato nel 1932, nella Germania di Weimar già presa nel vortice che
l’avrebbe piombata nel Nazismo. Ottenne in pochi mesi vette di vendita
altissime, tradotto subito in dieci paesi: tra cui l’Italia dove giunse in una
versione edulcorata nel linguaggio, privata di scene pruriginose, rieducata
politicamente. Sul lettore di oggi che sa come andò a finire, il libro fa più o
meno l’effetto di un ultimo urlo lanciato ai posteri appena prima che sia
caduta la notte. Hans Fallada, l’autore, apparteneva alla tendenza artistica
della Nuova Oggettività, un neorealismo che si prefiggeva di rappresentare
l’esistenza concreta. Ed infatti messa in scena è la crisi del piccolo borghese
tedesco, stretto in un disagio angosciosamente privo di percepibili vie di
uscita: quasi un come si diventa nazisti, ma con l’intuizione felice di
raccontarlo entro la cornice di un romanzo sentimentale. La storia è l’amore di
Johannes Pinneberg e di Emma Mörschel, detta Lämmchen, agnellino. Un matrimonio
freschissimo, a causa di un’imprevista gravidanza, che comincia subito ad
essere letteralmente inghiottito dallo spettro della disoccupazione che porta
miseria, smarrimento e minacce alla dignità, mentre il prossimo diventa
incomprensibile e lontano. Lui è il kleiner
Mann del titolo in tedesco, un «uno di noi», fragile, senza pretese,
apolitico, piuttosto vago; Emma è figlia di una famiglia di duri operai
socialdemocratici e comunisti, maltrattata in famiglia, commessina, dolce ma
ferma. E intorno, gli altri: la famiglia di Emma col fratello spinto ogni
giorno in un cupo estremismo; la vedova Scharrenhöfer, la padrona di casa
rovinata dall’inflazione; il contabile Lauterbach, arruolatosi nelle SA per
rompere la noia; la madre di Johannes Mia, tenutaria di un bordello e il suo
spregiudicato amante; il commesso Joachim, del movimento naturista. È il Volk, che al momento sembra avvertire
solo risentimento e restituire ostilità, ma che presto Hitler illuderà di
essere un unico protagonista: «Ora
nessuno doveva più sentirsi in colpa perché non capiva cosa stesse succedendo o
perché non partecipava – scrive Ralf Dahrendorf – Adesso c’era un ordine nel quale tutte le questioni venivano risolte. Ein Volk, ein Reich, ein Führer».
In Italia, nel 1960, del romanzo venne
realizzata per la Rai una versione dal titolo Tutto
da rifare pover’uomo. La regia era di Eros Macchi, gli interpreti
protagonisti Ferruccio De Ceresa e Carla Del Poggio;
nel cast Laura Betti, Lando Buzzanca, Renzo Palmer e Paolo Poli
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