martedì 1 agosto 2017

La mediocrazia di Alain Deneault
«Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, … Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere».
Il filosofo canadese Alain Deneault parla nel suo saggio della “rivoluzione anestetizzante” che ci ha fatto precipitare nel regno del conformismo: è l’atteggiamento che ci conduce a posizionarci sempre al centro, mai disturbare e soprattutto mai far nulla che possa mettere in discussione l’ordine economico e sociale. Tutto deve essere standardizzato. La “media” è diventata la norma, la “mediocrità” è stata eletta a modello. Un modello che trova nel mondo del lavoro e della politica la sua massima espressione; non fa leva sulla capacità e l’impegno del singolo ma sulla sua attitudine al conformismo. Per la preservazione di un ordine precostituito – sia esso inteso nello specifico come ambiente lavorativo o più in generale come sistema socio-economico – il talento e la competenza rappresentano una minaccia; per preservamento dello status quo è necessaria, e non solo preferibile, un’accettazione acritica  delle regole e delle convenzioni. All’origine della mediocrità c’è la morte stessa della politica, sostituita dalla “governance”: una forma di gestione neoliberale dello stato, caratterizzata dalla deregolamentazione, dalle privatizzazioni dei servizi pubblici e dall’adattamento delle istituzioni ai bisogni delle imprese. Anche la terminologia cambia: i pazienti di un ospedale non si chiamano più pazienti, i lettori di una biblioteca non sono più lettori. Tutti diventato “clienti”, tutti sono consumatori.

Che fare? Deneault indica una strada che parte dai piccoli passi quotidiani: resistere alle piccole tentazioni e dire no. Non occuperò quella funzione, non accetterò quella promozione, rifiuterò quel gesto di riconoscenza per non farmi lentamente avvelenare. Resistere per uscire dalla mediocrità non è certo semplice. Ma forse vale la pena di tentare.

"Se dal di dentro la stupidità non assomigliasse tanto al talento, al punto da poter essere scambiata con esso, se dall'esterno non potesse apparire come progresso, genio, speranza o miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido e la stupidità non esisterebbe".

Robert Musil

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