L'arte
della fuga di Fredrik Sjoberg
«Le esperienze artistiche possono essere travolgenti quasi
quanto gli amori», pensa Fredrik Sjöberg quando in una casa d’aste di
Stoccolma rimane folgorato dal dipinto di un pino. Spinto dalla sua proverbiale
passione per tutto ciò che è insolito, scopre che l’artista è Gunnar Widforss
(1879-1934), tanto sconosciuto in Europa quanto amato in Nord America, dove è
considerato «il pittore dei parchi nazionali» e ha dato il proprio nome a una
cima del Grand Canyon. Comincia così un’avventura sulle tracce di opere,
lettere e fonti sperdute per ricostruire la vita, la vocazione e l’ossessione
di questo inquieto acquerellista: un vagabondo squattrinato alla solitaria
ricerca di bellezza, stretto tra il bisogno di creare e l’ansia di riuscire,
che dopo aver girato mezzo mondo pianta la sua tenda nello Yosemite e dedica i
suoi giorni a ritrarre i più suggestivi paesaggi d’oltreoceano. Un viaggio che
conduce Sjöberg in Nevada, Arizona e Colorado, nella wilderness di
Emerson e Thoreau, attraverso la storia delle riserve, naturali e indiane, con
il dubbio se servano più a proteggere o a ghettizzare. Un racconto che si snoda
tra curiosità storiche e aneddoti spassosi, dalla nascita dell’industria del
chewing gum alla carovana di cammelli che aprì la Route 66, dalla luce dei
dipinti di Turner al tacchino che Benjamin Franklin voleva al posto dell’aquila
come simbolo degli Stati Uniti. Irresistibile affabulatore, Sjöberg ci fa
appassionare a un altro dei suoi eccentrici outsider con un nuovo capitolo
della sua riflessione sul rapporto tra uomo e natura.
Da un’intervista all’autore
Perché i lettori dovrebbero essere
interessati a leggere di un acquerellista quasi sconosciuto? Scrivo sempre di
persone dimenticate, per differenti ragioni: sono un collezionista e un
cacciatore, mi piace scoprire tesori nascosti. Avrei potuto scrivere di un
pittore famoso, ma allora il lettore avrebbe avuto già dall’inizio un rapporto
con lui, tipo con Picasso o qualcun altro, e invece qui non sai nulla e ciò mi
dà l’opportunità di dare forma alla tua visione di quest’uomo. E poi mi dà
l’opportunità di essere davvero esperto, sono ora il più grande esperto al
mondo di Gunnar Widforss e non ci ho messo molto per diventarlo. Il libro
riguarda i meccanismi della dimenticanza, come si finisce per essere
dimenticati. […] riguarda anche la solitudine … qualcosa di cui tutti siamo
spaventati. Ho capito che lui poteva aiutarmi a raccontarmi una storia, non
esattamente la sua storia, ma qualcosa su di me, sulla natura, sulle
connessioni con la natura.
In alcuni passi del libro lei lo descrive
come un uomo piuttosto mediocre. Sì, non è di
successo, non ha fascino, è basso, non è di certo un Modigliani. Ma c’è
qualcosa di interessante in lui perché permette un’identificazione: io sono
come lui, non posso raccontare di persone in cui non riesco a specchiarmi. In
un certo senso questa è un’autobiografia, perché lui mi fa da specchio, è come
un compagno di viaggio in cui m’identifico. E quando scrivo della paura di
essere dimenticato, ovviamente parlo anche della mia paura di esserlo. Mi
riconosco in questo giovane timido che viaggia per il mondo. Alla fine
siamo diventati amici, anche perché abbiamo dei tratti differenti.
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