martedì 1 agosto 2017

Nella perfida terra di Dio di Omar Di Monopoli

Il più vecchio dei Della Cucchiara, Antimo, arrivò al circolo Amici del Tavolo Verde per primo, a bordo di un’Alfasud priva del tettuccio e cogli sportelli ancora da verniciare. Gli altri due fratelli, Tore e Gaetano, lo seguirono per un’incollatura varcando in sella a un grosso quad truccato l’antica porta medievale che delimitava l’accesso alla piazza di Rocca Bardata. Nel bar, mentre l’ultima luce del giorno spirava in un’agonia senz’appello, un paio di tangheri aggrappati a una Nastro Azzurro si affacciarono oltre i pendagli della tenda e sostando sulla soglia rivolsero a quella troika in avvicinamento un saluto insipido con la testa. Dai recessi del locale si propagava intanto lo schioccare sonoro di una palla centrata dalla biglia bianca del biliardo. Uhé, li tre moschettieri annu rrivatu, ironizzò una delle spugne indicando i Della Cucchiara con la mano occupata. …

Per le storie nome di Omar Di Monopoli sono state create inedite categorie critiche: si è parlato di western pugliese, di verismo immaginifico, di neorealismo in versione splatter. Nonché, com'è ovvio, di noir mediterraneo. In questo nuovo romanzo lo scrittore salentino, per raccontare una vicenda gremita di eventi e personaggi (un vecchio pescatore riciclatosi in profeta, santone e taumaturgo dopo una visione apocalittica, un malavitoso in cerca di vendetta, due ragazzini, i suoi figli, che odiano il padre perché convinti che sia stato lui a uccidere la madre, una badessa rapace votata soprattutto ad affari loschi, alcuni boss dediti al traffico di stupefacenti e di rifiuti tossici, due donne segnate da un destino tragico, e sullo sfondo un coro di paesani, di scagnozzi, di monache), ricorre a una lingua ancora più efficace, più densa e sinuosa che nei romanzi precedenti, riuscendo a congegnare sequenze forti, grottesche e truculente in un magistrale impasto di dialetto e italiano letterario - sino a farla diventare, questa lingua, la vera protagonista del libro.

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