venerdì 25 agosto 2017

Utopia selvaggia : rimpianto dell'innocenza perduta : una fiaba di Darcy Ribeiro

L’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro ripropone in questo romanzo le suggestioni di un'Amazzonia da sempre terra di inquiete relazioni con il mito e la letteratura.

Il negro Gasparino Carvalhal, detto Pitum e più tardi ribattezzato Orecchione, è fatto prigioniero in circostanze misteriose dalle Amazzoni  che dopo averlo usato senza vergogna come stallone e riproduttore, se ne disfano tranquillamente, rispedendolo nella foresta da dove era venuto. Per Pitum è l'occasione di una nuova esperienza, stavolta in un villaggio di indios senza padroni, innocenti e felicemente fornicatori, che due suore missionarie tentano, per fortuna invano, di catechizzare. Tanto invano che alla fine, nel bel mezzo di un'orgia stimolata dalle potenti droghe amazzoniche, Calibano, il "tuxaua" o capo del villaggio, opera una conversione alla rovescia, inducendo alla più sfrenata lussuria le sue ospiti. E mentre tutto ruota nel vortice di un sogno allucinato, una zolla di foresta con tutta la tribù si leva miracolosamente in volo e, da altezze non più raggiungibili, gli indios bombardano con i loro escrementi gli eserciti impegnati in una fantaguerra nella foresta amazzonica. È il trionfo dell'utopia selvaggia che fa giustizia dell'antiutopia borghese, capitalista e multinazionale, rappresentata nel libro da Prospero, un gigantesco computer, "imperatore informatico", programmato da Cia e Kgb per riassestare a loro modo la squinternata vita del Brasile. Si tratta, come si può vedere, di un intreccio quanto mai esile, più che altro un pretesto per un gioco di equivoci, sberleffi e feroci "rovesciamenti" di tutto ciò che è mito, letteratura cristallizzata, cultura ufficiale.

Uomini di mais di Miguel Angel Asturias

"Uomini di mais" non è un fiume che si può navigare dalla sorgente alla foce seguendo un unico percorso, un'unica rotta. È piuttosto come la foresta tropicale che del romanzo è protagonista: un intrico, un intreccio di passioni, di racconti, di metamorfosi in cui farsi largo. Volendo trovarvi un centro, un protagonista, possiamo pensare a Goyo Yic, che attraversa le montagne in cerca della moglie fuggita, o a Nicho Aquino, misterioso uomo-coyote, oppure a Gaspar Ilóm, eroe mitico e poderoso guerriero, incarnazione della lotta del popolo guatemalteco che rivendica il proprio diritto a coltivare il mais senza scopi commerciali. Perché dal mais non dipende solo la sopravvivenza fisica dei contadini discendenti dei Maya, ma anche quella della loro cultura, che trae diretta origine dal Popol Vuh, il libro sacro. E proprio partendo dalle leggende, dalle tradizioni, dal sistema di credenze contenute in questo testo che Asturias, facendo incontrare la poesia surrealista con le suggestioni delle civiltà precolombiane, dà vita a un grande affresco di storie e personaggi che è al tempo stesso un lucido manifesto politico di denuncia.

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