La nave negriera di Marcus Rediker
Un libro che sale a bordo e segue le rotte delle
navi addette al redditizio commercio degli schiavi, per rivelare quanto si
verificava nei secoli di questo sordido traffico. Ha coperto un lungo arco di
tempo il dramma della tratta di
carne umana dal continente africano, soprattutto verso le Americhe, attraverso
l’Atlantico. Ed ha avuto innumerevoli attori nei quattrocento anni in cui si è
protratto il mercato degli schiavi, dalla fine del XV secolo alla seconda metà
del XIX. Più di 12 milioni di esseri umani furono stivati all’interno di
battelli a vela e portati oltre Atlantico, per raggiungere centinaia di punti
di consegna, disseminati lungo migliaia di chilometri di costa. Nella
spaventosa traversata perirono un milione e mezzo di uomini, donne e bambini (i
negrieri prelevavano solo soggetti sani tra i 12 e i 25 anni). I corpi finivano
in pasto agli squali che seguivano le navi, ma chi non soccombeva andava
incontro a un destino nel quale tutto si riduceva al cercare di resistere alla
fatica, alle punizioni, alle percosse e ogni tipo di abuso. Altri erano già
morti nel percorso tra il luogo di cattura e gli approdi negrieri sulla costa
orientale africana. Una valutazione parziale li stima nel 15 per cento. Altri
750mila non superarono il primo anno di prigionia nel nuovo mondo, dei 14
milioni di persone che si calcolano coinvolti complessivamente in una tragedia
sanguinosa.
Una contabilità spietata… Tolti i 5 milioni di
“caduti”, sono stati ben 9 milioni i neri africani che hanno cambiato
l’economia, la storia e il futuro degli Stati Uniti d’America.
L’età dell’oro dello schiavismo negriero è durata un
secolo, dal 1700 al 1808 e ha comportato il trasferimento di due terzi del
totale degli schiavi, più della metà dei quali ristretti in condizioni
terribili a bordo di navi inglesi e americane. Soprattutto quel periodo, quei
battelli, i prigionieri e i naviganti sono i protagonisti di questo libro. Il
lavoro di Rediker evidenzia quattro categorie di drammi umani. Il primo si
incentra nel rapporto tra i comandanti e gli equipaggi, l’uno presiedeva a
tutto e doveva esercitare il suo potere senza pietà, gli altri eseguivano in
mondo spietato un lavoro sporco. Il comportamento dei marinai nei confronti
degli schiavi, in un contesto di violenze e stupri quotidiani, costituisce il secondo dramma. Il
terzo scaturisce dalla coesistenza forzata di derelitti di etnie diverse e di
tribù nemiche. L’ultimo scenario conduce alla società statunitense, nel momento
in cui gli abolizionisti riuscirono a convincere i più dell’agghiacciante
delitto umanitario che veniva commesso ai danni delle vittime di questo
commercio di donne e uomini.
La rabbia dei
vinti : la guerra dopo la guerra, 1917-1923 di Robert Gerwarth
«Questa guerra non è la fine,
bensì l’inizio della violenza. È la forgia nella quale verrà plasmato un mondo
con nuovi confini e nuove comunità. Nuovi stampi richiedono di essere riempiti
col sangue, e il potere sarà esercitato con pugno di ferro.» Ernst Jünger
L’11
novembre del 1918 segna un momento decisivo della storia d’Europa: la fine di
una guerra che aveva distrutto un’intera generazione e l’estinzione di grandi
imperi secolari. Ma quale è stata l’eredità che ci ha lasciato la Prima guerra
mondiale? Per una considerevole parte d’Europa (e non solo) gli anni successivi
alla Prima guerra mondiale hanno contato molto di più — anche in termini di
sofferenze — di quelli tra il 1914 e il 1918. In primo luogo la Russia, ma
anche l’Ucraina, la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Finlandia, la
Serbia, l’Irlanda. E, dall’altra parte del Mediterraneo, l’intero Medio
Oriente. La rabbia dei vinti propone l’ipotesi che «per comprendere i
violenti percorsi che l’Europa seguì durante il XX secolo, è necessario prendere
in considerazione non tanto le esperienze belliche degli anni tra il 1914 e il
1917, quanto il modo con cui la guerra si concluse per gli Stati che la
persero. Scontri armati si sovrapponevano alle rivoluzioni, alle
controrivoluzioni, e alle ostilità di confine fra Stati in formazione, privi di
frontiere chiaramente definite e di governi riconosciuti dalla comunità
internazionale: «l’Europa postbellica
degli anni che vanno dalla conclusione ufficiale della Grande guerra nel 1918
al trattato di Losanna del luglio 1923, fu il luogo più violento del pianeta».
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