giovedì 16 marzo 2017

La politica cinematografica del regime fascista di Alfonso Venturini

Mussolini affermò che «la cinematografia è l’arma più forte». Normalmente colleghiamo questo motto alla funzione propagandistica dei documentari prodotti dall’Istituto Luce, ma l’interesse del fascismo per il mezzo cinematografico riguardò anche i film a soggetto, come è dimostrato dalle molteplici iniziative che, dagli anni Trenta in poi, lo Stato italiano mise in campo per sostenere e indirizzare il cinema di finzione. Il libro di Venturini ci offre un contributo che travalica i confini della storia del cinema, abbracciando il campo della storia politica ed economica dell’Italia fascista. La produzione cinematografica, infatti, è osservata dall’autore sia come espressione artistica, sia come industria. Seguendo la vita di istituzioni e persone, inoltre, il libro tiene conto delle continuità che legano il cinema del Ventennio sia alla precedente età liberale, sia al successivo periodo repubblicano. Il ritratto della politica cinematografica del fascismo che emerge dal saggio è decisamente in chiaroscuro. Le iniziative del regime furono molteplici ma spesso prive di un disegno organico coerentemente perseguito. La profonda crisi in cui versava il cinema italiano negli anni Venti fu probabilmente frenata, ma l’insuccesso di alcuni fra i più ambiziosi progetti finanziati dallo Stato (primo fra tutti Scipione l’Africano, il kolossal del 1937 destinato a celebrare la conquista dell’Etiopia) rivelò i perduranti limiti dell’industria cinematografica italiana.  L’investimento statale nella costruzione di Cinecittà fu forse il lascito principale del fascismo, il quale pose così le basi per i fasti del cinema italiano negli anni del boom economico.

Nessun commento:

Posta un commento