Fuori
tempo : intervista ad Aldo Braibanti di Patrizia Pacini
Aldo Braibanti incontra Patrizia
Pacini e si lascia al ricordo e alla confidenza, anche solo accennando al suo
difficile passato e alla sua forte presenza nell’Italia dell’antifascismo e
della resistenza.
Aldo
Braibanti (1922-2014), più che per la sua originale produzione letteraria e
teatrale, divenne celebre per essere stato vittima di una delle pagine più buie
della storia dell'Italia repubblicana: processato e condannato, unico caso al
mondo nel secolo, per il reato di plagio. Aldo Braibanti era nato a Fiorenzuola
d'Arda. Da lì si era trasferito a Firenze per studiare filosofia ma nel 1940
era entrato in clandestinità per partecipare ai movimenti partigiani, prima con
Giustizia e Libertà, poi con il Partito Comunista. Per due volte era stato
arrestato, la prima volta insieme a Ugo La Malfa, la seconda volta torturato
dalla famigerata "Banda carità", le sue opere sequestrate e distrutte
dalle SS. Poeta, scrittore, autore teatrale e cineasta, "un genio
straordinario" secondo Carmelo Bene che racconterà come il giovane Aldo
gli avesse insegnato a leggere in versi. A partire dal 1947 Braibanti aveva
dato vita a Castell'Arquato ad una comunità di artisti e intellettuali, insieme
a Sylvano Bussotti e a Marco Bellocchio, col quale partecipò alla fondazione
dei Quaderni Piacentini prima di trasferirsi a Roma insieme al suo compagno. Ma
quell'Italia non poteva tollerare una relazione omosessuale fra due persone
maggiorenni vissuta alla luce del sole. Così il padre di Giovanni, il suo
compagno, lo denunciò per plagio, un reato inserito in età fascista nel codice
penale e mai applicato prima, non presente in nessun codice penale del mondo.
Così
l'artista eclettico, l'ex partigiano e poi responsabile toscano dei Giovani
Comunisti divenne protagonista di uno dei processi più clamorosi del secolo.
Accusato di essere un "ladro d'anime", un "diabolico invasore di
spiriti" "la reincarnazione del demonio", Braibanti divenne il
capro espiatorio di un'Italia ancorata al passato, terrorizzata dai forti
cambiamenti sociali che stavano all'orizzonte, desiderosa di reprimere col
pugno di ferro qualunque turbativa all'ordine morale e sessuale costituito. A
nulla valse la difesa pubblica del giovane intellettuale da parte di Umberto
Eco, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella. Il
processo all'omosessualità intesa come motore di corruzione morale del Paese
doveva andare in scena. Così nel 1968 Braibanti venne condannato a nove anni di
reclusione, poi ridotti a quattro, e rinchiuso a Regina Coeli, mentre il suo
compagno finiva in manicomio, sottoposto a ripetuti elettroshock e a shock
insulinici per "guarirlo" dalla sua omosessualità. In carcere Aldo
rimase per due lunghi due anni. Vi uscì a fine 1969, in un'Italia che stava
cambiando. Il reato di plagio, mai più applicato, sarebbe stato cancellato dal
nostro ordinamento solo nel 1981 con sentenza della Corte Costituzionale e non
per libera volontà del Parlamento: con la barbarie occorsa a Braibanti l'Italia
non aveva ancora fatto i conti. Dopo la scarcerazione, anticipata a causa del
suo impegno come partigiano, Braibanti continuerà la sua attività di scrittore,
poeta, autore teatrale e videomaker. Solo quando nel 2005, povero e ultra
ottantenne, sarà sfrattato dalla vecchia casa in cui viveva, lo Stato compirà
un gesto di risarcimento assegnando all'artista un vitalizio in base alla legge Bacchelli.
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