lunedì 29 maggio 2017

Fuori tempo : intervista ad Aldo Braibanti di Patrizia Pacini

Aldo Braibanti incontra Patrizia Pacini e si lascia al ricordo e alla confidenza, anche solo accennando al suo difficile passato e alla sua forte presenza nell’Italia dell’antifascismo e della resistenza.
Aldo Braibanti (1922-2014), più che per la sua originale produzione letteraria e teatrale, divenne celebre per essere stato vittima di una delle pagine più buie della storia dell'Italia repubblicana: processato e condannato, unico caso al mondo nel secolo, per il reato di plagio. Aldo Braibanti era nato a Fiorenzuola d'Arda. Da lì si era trasferito a Firenze per studiare filosofia ma nel 1940 era entrato in clandestinità per partecipare ai movimenti partigiani, prima con Giustizia e Libertà, poi con il Partito Comunista. Per due volte era stato arrestato, la prima volta insieme a Ugo La Malfa, la seconda volta torturato dalla famigerata "Banda carità", le sue opere sequestrate e distrutte dalle SS. Poeta, scrittore, autore teatrale e cineasta, "un genio straordinario" secondo Carmelo Bene che racconterà come il giovane Aldo gli avesse insegnato a leggere in versi. A partire dal 1947 Braibanti aveva dato vita a Castell'Arquato ad una comunità di artisti e intellettuali, insieme a Sylvano Bussotti e a Marco Bellocchio, col quale partecipò alla fondazione dei Quaderni Piacentini prima di trasferirsi a Roma insieme al suo compagno. Ma quell'Italia non poteva tollerare una relazione omosessuale fra due persone maggiorenni vissuta alla luce del sole. Così il padre di Giovanni, il suo compagno, lo denunciò per plagio, un reato inserito in età fascista nel codice penale e mai applicato prima, non presente in nessun codice penale del mondo.


Così l'artista eclettico, l'ex partigiano e poi responsabile toscano dei Giovani Comunisti divenne protagonista di uno dei processi più clamorosi del secolo. Accusato di essere un "ladro d'anime", un "diabolico invasore di spiriti" "la reincarnazione del demonio", Braibanti divenne il capro espiatorio di un'Italia ancorata al passato, terrorizzata dai forti cambiamenti sociali che stavano all'orizzonte, desiderosa di reprimere col pugno di ferro qualunque turbativa all'ordine morale e sessuale costituito. A nulla valse la difesa pubblica del giovane intellettuale da parte di Umberto Eco, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella. Il processo all'omosessualità intesa come motore di corruzione morale del Paese doveva andare in scena. Così nel 1968 Braibanti venne condannato a nove anni di reclusione, poi ridotti a quattro, e rinchiuso a Regina Coeli, mentre il suo compagno finiva in manicomio, sottoposto a ripetuti elettroshock e a shock insulinici per "guarirlo" dalla sua omosessualità. In carcere Aldo rimase per due lunghi due anni. Vi uscì a fine 1969, in un'Italia che stava cambiando. Il reato di plagio, mai più applicato, sarebbe stato cancellato dal nostro ordinamento solo nel 1981 con sentenza della Corte Costituzionale e non per libera volontà del Parlamento: con la barbarie occorsa a Braibanti l'Italia non aveva ancora fatto i conti. Dopo la scarcerazione, anticipata a causa del suo impegno come partigiano, Braibanti continuerà la sua attività di scrittore, poeta, autore teatrale e videomaker. Solo quando nel 2005, povero e ultra ottantenne, sarà sfrattato dalla vecchia casa in cui viveva, lo Stato compirà un gesto di risarcimento assegnando all'artista un vitalizio in base alla legge Bacchelli.

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