Il topo
Chuchundra di Alarico Cassé
Non c’è solo Elena Ferrante ad aver scelto di scrivere
con uno pseudonimo. Molte scrittrici lo hanno fatto, e non poche hanno scelto
un nome maschile. I racconti di Alarico Cassé, pubblicati da Feltrinelli nel
1963, furono un caso letterario molto discusso e tornano ora, finalmente, in
libreria. Finalmente, perché Alarico Cassé, chiunque fosse nella realtà, autore
di un solo libro, era un grande scrittore, ossia una grande scrittrice, erede
insolita di Kafka e di Pirandello. Narrava le storture della società nelle sue
radici, nell’assurdo delle sue regole e della stessa condizione umana, con
penna chiara e incalzante, con apparente freddezza carica bensì di violenza e
di rivolta, sullo sfondo dei nostri anni del boom che andavano aprendo nuove
strade al disumano. Alarico Cassé narrava dal punto di vista di personaggi
inquieti, quotidiani ma estremi, che non accettavano l’ordine dato: bambini,
donne, contadini, che non capiscono il mondo e se ne ritraggono, che gli dicono
no, o lo maledicono. Tanti sono i racconti indimenticabili e da antologia, come
Il
topo Chuchundra del
titolo, l’uomo che ha paura di tutto, o I due fanciulli in odio all’automobile, o La
rosa nera, che
pure esiste ma deve morire come tutte le cose vive. O infine Gli scarponcini
rossi che,
nella società dei consumi, un uomo cerca disperatamente di trovare nei negozi
per farne dono, ma trova di tutto meno che quelli.
G. Fofi
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