mercoledì 21 giugno 2017

NOVITA’ IN BIBLIOTECA 
giugno 2017









I Mann : storia di una famiglia di Tilmann Lahme

La nascita di questa biografia familiare sarebbe stata pressoché impossibile se qualche anno fa, in circostanze mai chiarite che generarono polemiche roventi in Germania, non fossero saltate fuori da un archivio privato quasi tremila lettere sconosciute che aprirono gli occhi sulle vicende intricate e quasi incredibili della vita privata di Thomas Mann e della sua famiglia, che l’odierno aggettivo «disfunzionale» descrive in termini ancora eufemistici. 
Thomas Mann è lo scrittore più importante della Germania già nel 1922, l’anno su cui si apre il volume di Lahme: ha 47 anni, ha scritto romanzi straordinari come I Buddenbrok e La montagna incantata, ha vinto il Premio Nobel per la letteratura e comincia a dover fare i conti con una situazione politica che presto porterà all’ascesa del nazismo. Sua moglie Katia, donna dal polso leggendario, tiene a bada i sei figli e il complicato ménage casalingo mentre lui lavora.
Da questo punto di partenza, Lahme costruisce il suo racconto “dall’interno” di una famiglia segnata dal talento, dalle passioni, dal dolore e dalla storia. Thomas il patriarca, completamente votato al proprio genio, Katia, la moglie elegante, forte e sofferente, i figli Erika, scrittrice e attrice, legatissima al fratello Klaus, scrittore come il padre, antifascista, omosessuale e suicida nel 1949, Golo, l’intellettuale che cerca di salvarsi fuggendo dalla famiglia, Monika, la meno amata delle figlie, Elisabeth la cocca del padre e Michael, il musicista che lotta contro il proprio carattere e le stellari aspettative dei genitori (e che morirà suicida come il fratello Klaus).
 È intorno a questi otto protagonisti (più Heinrich, il fratello di Thomas, grande scrittore meno fortunato e più sofferente) che si intreccia questo grande affresco fatto di immenso talento, inesplicabile dolore, amori liberi e spesso sbagliati, abuso di droghe, politica, arte e teatro. E sullo sfondo, le tragedie dell’Europa, il nazismo, la scelta dell’esilio in California, il ritorno nella Germania ferita del dopoguerra.


La morte ha il permesso di Edmundo Valadès


A cento anni dalla nascita, Edmundo Valadés, considerato oggi un maestro della letteratura breve, viene tradotto per la prima volta in italiano. I diciotto fulminanti testi di questa raccolta abbracciano temi universali, narrati da personaggi in un momento decisivo della loro esistenza: due adolescenti sono alle prese con la loro prima volta; un vecchio ha coltivato per tutta la vita un sogno e proprio quando sta per realizzarlo decide di rinunciarvi; un uomo fa un bilancio delle sue esperienze nel momento in cui sta per essere assassinato; un altro fa i conti col passato senza riuscire a lasciarsi alle spalle la guerra nella quale ha combattuto. Come ha scritto Paco Ignacio Taibo, «Valadés ha pubblicato racconti memorabili, ma la sua fama di grande scrittore si deve a La morte ha il permesso».

Annie John di Jamaica Kincaid
«Il genio ha molte sorprese, e una di queste è la geografia» ha scritto Derek Walcott a proposito di Jamaica Kincaid. Ed è proprio la geografia di Antigua, così accecante e celeste, a permeare la prosa incantatoria del suo primo romanzo: gli alisei, i riti della pesca e dell’obeah si confondono in un’unica musica palpitante, mentre l’albero del pane e le sgargianti poinciane stonano con la chiesa anglicana, con la divisa scolastica, con i quaderni che hanno in copertina la regina Vittoria. E intanto Annie John cresce in una felice solitudine, al centro dell’universo della sua bellissima, giovane madre. Ma poi, la catastrofe: Annie «diventa signorina», e la madre, che come una divinità può dare e togliere tutto, incomprensibilmente si trasforma in un’algida nemica. «Io vivevo in un paradiso così» dice Annie dei suoi anni di bambina; ma ogni paradiso ha il suo «orribile serpente», e sarà un tormentoso duello quotidiano a scandire il suo furente ingresso nell’adolescenza.


Per te morirei e altri racconti perduti di Francis Scott Fitzgerald

Più che racconti perduti, sono i racconti rifiutati, e poi dimenticati. In contemporanea con gli Stati Uniti, gli inediti di Francis Scott Fitzgerald tornano in libreria in una raccolta intitolata Per te morirei e altri racconti, curata da Anne Margaret Daniel. I racconti brevi, spiega la curatrice, erano il pane quotidiano del cantore dell’Età del jazz: gli editori e i direttori delle riviste arrivavano a pagare fino 4mila dollari a pezzo, una cifra folle per il mercato di allora. I racconti di questa nuova raccolta invece, a parte un paio di eccezioni, non videro mai la luce: furono donati all’Università di Princeton dalla figlia Scottie negli anni ‘50 e lì rimasero, sepolti in archivio. Alcuni sono stati consultati di tanti in tanto dagli studiosi, ma altri erano stati dimenticati perfino dai familiari di Fitzgerald.
 I racconti sono organizzati in ordine cronologico: apre la raccolta Il pagherò del 1920, una parodia del mondo dell’industria editoriale, scritta quando Fitzgerald era ancora l’enfant prodige, l’autore ventitreenne di Di Qua dal Paradiso. Quasi tutti gli altri appartengono agli ultimi anni di Francis Scott, ormai al verde, alcolizzato e solo. Le riviste rifiutano questi nuovi lavori, troppo cupi, senza lo sfolgorio dei romanzi.  C’è l’eco della grande depressione e il ricordo della Guerra Civile, in Pollici in Su; ma ci sono anche ritratti di straordinaria modernità, come le signorine “che possono fare tutto da sole” di La perla e la pelliccia. C’è perfino un suicidio, in Per te morirei, il brano che dà il titolo alla raccolta. Le riviste chiesero all’autore un lieto fine, ma Fitzgerald fu irremovibile: piuttosto rinunciò ai soldi del compenso, di cui pure aveva disperatamente bisogno per pagare il ricovero in clinica psichiatrica della moglie Zelda e la retta della scuola della figlia. Attratto dalla possibilità di guadagnare, Fitzgerald approdò a Hollywood: proprio la bozza di una sceneggiatura (L’Amore, che male) chiude la raccolta.






La parola del padre : Caravaggio e l'Inquisitore : falso storico in forma di monologo di Ermanno Rea

Quando, in Italia, la ricerca dell’obbedienza dei sudditi ha preso il posto del perseguimento della libertà dei cittadini? Quando, per essere più precisi, quelle forme di gestione del sottopotere e del consenso, e di condanna di ogni eresia, quei modi da vicereame spagnolo sono diventati dominanti, fino a costituire un tratto essenziale del carattere nazionale? A queste domande, Ermanno Rea dedicò non solo un saggio uscito nel 2011, La fabbrica dell’obbedienza (nel catalogo SMS BIBLIO), ma anche questo testo teatrale, meno noto, […]
La parola del padre è uno strano dialogo, che prende le sembianze di un lungo monologo. Al centro della scena c’è un Caravaggio silente che rievoca – o immagina di ricordare –davanti a una tela bianca un interrogatorio subito da parte dell’Inquisizione. In scena, Caravaggio rimane muto, ascolta, si limita a qualche gesto, a uno sdegno e a una impotenza che non assumono mai una forma verbale. L’Inquisitore, invece, sproloquia dall’inizio alla fine. Parla, congettura, minaccia, lusinga, ammonisce… Al centro del monologo vi sono il giudizio impietoso sull’eresia costituita dalla pittura del Caravaggio, e il terrore che essa provoca presso la curia romana. L’Inquisitore non accetta, non può accettare, la scelta di campo di Caravaggio: il “vostro concepire la pittura quasi come cronaca o specchio di quella vita degradata che alligna ai margini di tutte le città – ma soprattutto oggi qui a Roma, diventata la capitale di ogni genere di malaffare – nella convinzione che è là che Dio va cercato. Per voi insomma è la carne il luogo di residenza di ogni verità. E questa, prima ancora che una bestemmia, è un’eresia”. Caravaggio non solo pone la grazia all’interno dell’uomo, e non nell’alto dei cieli, ma precisamente la fa abitare tra gli scarti della società, tanto che nei suoi quadri santi e madonne hanno il corpo, il volto, la lingua di ladri, prostitute, pazzi, vagabondi, bari…  
[…]   Ora, in questa critica, come non può non notare forse anche lo stesso Caravaggio, c’è un evidente paradosso. Proprio laddove la pittura del Merisi si avvicina all’essenza stessa del messaggio evangelico, e al suo ribaltamento della visione consueta delle cose e dell’ordine sociale, l’Inquisitore se ne allontana con il terrore degli occhi. Perché per una Chiesa che miri al mantenimento dell’ordine, e alla sua perpetuazione nei secoli, la “spada” evangelica e lo scandalo di Caravaggio sono da rifuggire come la peste. L’Inquisitore invoca un Dio d’ordine, e l’Inquisizione non è che il braccio – ora raffinato, ora brutale – atto al risaldamento della sua immagine. Laddove la gente comune ha bisogno di gerarchie, non vuole pensare, non vuole sentirsi in colpa, né essere additata per questo o quella mancanza, la Chiesa (qui intesa nel senso ristretto di curia temporale) è sempre pronta a gestire le umane debolezze. È sempre pronta a rispondere alla paura della libertà con il conforto dell’obbedienza de-responsabilizzata. E qui, per Rea, proprio nel Seicento, inizia a definirsi il carattere nazionale. La parola del padre si colloca così lungo la scia della critica dei costumi degli italiani, che va da Leopardi fino al Novecento, fino forse ai Ricordi tristi e civili di Cesare Garboli. […]
Ma come interpretare allora il silenzio di Caravaggio davanti al monologo dell’Inquisitore? Quale peso gli dà Ermanno Rea? […]. È quel silenzio la parte più enigmatica di La parola del padre. È un silenzio dettato dalla paura? Dall’accondiscendenza? Dalla semplice constatazione che davanti a un potere ottuso non si può fare altro che tacere? Quel silenzio, a ben vedere, è lo stesso silenzio che avvolge gli autoritratti del Caravaggio, quando il pittore si dipinge all’interno dei suoi quadri. Quell’uomo in un angolo appare sempre silente, quasi impotente, davanti alla violenza del mondo. A quella che esplode brutalmente. E a quella sublimata nei gesti e nelle parole.

Alessandro Leogrande,   Corriere del Mezzogiorno


Una coppia perfetta : i racconti di Hap e Leonard di Joe R. Lansdale

Tra i tantissimi ammiratori di Joe R. Lansdale esiste uno «zoccolo duro» che, pur amando tutta la produzione del grande texano, ha sempre avuto un debole per la serie di romanzi che hanno per protagonisti Hap (bianco, liberal e donnaiolo) e Leonard (nero, conservatore e gay). Da Una stagione selvaggia a Sotto un cielo cremisi, i due detective dai metodi a volte spicci ma dall'etica (a loro modo) immacolata sono passati per ogni sorta di avventura, uscendone spesso malconci, sempre ilari e innamorati della loro vita e del loro mondo. La stessa cosa che accade in queste tre novelle: Le iene, Veil in visita e Una mira perfetta. Altrettanti gioielli, nei quali Hap e Leonard devono vedersela con una banda di rapinatori senza scrupoli, con la Dixie Mafia, con gli spacciatori di crack. E con la legge, sempre meno propensa a tollerare che i casi loro assegnati finiscano regolarmente in una ridda di liti, scazzottate, sparatorie.




Ora pro loco di Gesuino Némus
Dall'imprevedibile autore de "La teologia del cinghiale", un nuovo mistero ambientato nel mitico paesino sardo di Telévras. Uno strano incidente d'auto, un suicidio impensabile, un ragioniere trafficone sono solo alcuni degli elementi che ci riportano a Telévras, uno dei territori più poveri del pianeta. 1 turisti lì non arrivano. Occorre inventarsi qualcosa, per fare in modo che cessino lo spopolamento e il decremento demografico. È una Telévras contemporanea, ma gli abitanti, i loro comportamenti e le loro aspirazioni non sembrano adeguarsi ai tempi. Una galleria di nuovi personaggi, da Donamìnu Stracciu, poeta "apolide e apocrifo", alla catechista di professione Titina Inganìa, fino a Michelangelo Ambéssi, l'uomo per cui tutto ciò che supera il metro e sessanta è da guardare con sospetto: sono loro alcuni dei protagonisti di questa vicenda che sembra passare quasi inosservata anche nelle cronache locali. Ma, in una fredda mattina d'inverno, arriva nel paesino l'ispettore Marzio Boccinu, al momento in congedo dalle forze dell'ordine, il quale si troverà invischiato in un intreccio in cui la realtà supererà, come sempre, ogni fantasia...




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