Eleganza
fascista : la moda dagli anni Venti alla fine della guerra di Sofia Gnoli
Storia, moda, donne e regime sono
gli ingredienti principali di questo libro che, attraverso documenti
inediti, rare immagini di archivio e testimonianze orali,
ripercorre la storia della moda italiana a partire dai primi anni
Venti fino al suo grande riconoscimento internazionale dopo la
Seconda guerra mondiale.
Introduzione
Anche se il
riconoscimento internazionale della moda italiana avviene intorno agli anni
Cinquanta, le sue radici vanno ricercate molto più indietro. I primi tentativi
di creazione di una moda indipendente da quella francese risalgono infatti ai
tempi del Risorgimento. In seguito, nel 1906, la sarta Rosa Genoni presentò
all’Esposizione internazionale di Milano una collezione di abiti interamente
ispirata alle opere di artisti del Medioevo e del Rinascimento italiano. Dopo
questi sporadici episodi, il tema di una moda nazionale venne ripreso in
maniera più sistematica negli anni Venti dalla giornalista Lydia De Liguoro,
fondatrice della rivista “Lidel”. Ma anche i suoi tentativi rimasero essenzialmente
legati a motivi retorico-nazionalistici. Ancora all’inizio degli anni Trenta
l’indiscussa capitale della moda rimaneva Parigi. Nella capitale francese si
recavano i maggiori sarti italiani due volte l’anno, in coincidenza con la
presentazione delle collezioni, e lì acquistavano i modelli di Chanel e Patou,
di Lanvin e Madame Vionnet. Nel 1931, all’apice della crisi economica dovuta
alla ripercussione del crollo di Wall Street, vennero commissionate dal regime
delle statistiche ufficiali dai cui risultati emersero dati allarmanti sulle
importazioni fatte dalle “vanitose donne italiane”. Fu allora che, per
nazionalizzare il ciclo di produzione dell’abbigliamento e per arginare le
importazioni dalla Francia, il regime diede vita all’Ente nazionale della moda;
tuttavia, pur godendo di un notevole potere sul piano teorico, su quello
pratico l’azione dell’Ente risultò spesso contraddittoria e confusa. Tale
situazione rispecchiava le incoerenze del regime nei confronti sia della
concezione della donna – divisa tra il modello emancipato e quello dell’angelo
del focolare – sia della modernizzazione, sospesa tra un avanguardismo spesso
velleitario e il peso della tradizione e della conservazione. Allo scoppio
della Seconda guerra mondiale, mentre i paesi alleati prendevano atto del
momento di difficoltà, varando una sorta di “moda di Stato”, l’Italia, vista
l’attenzione che il regime prestava alla moda e il valore propagandistico che
le attribuiva, minimizzò a tal punto le difficoltà che fio al 1942 è difficile
trovare nella stampa di moda riferimenti alla guerra. Se le incongruenze
dell’Ente ne provocarono per certi versi il soffocamento delle iniziative, è
pur vero che bisogna riconoscerne i meriti. Grazie a esso, infatti, vennero
gettate le basi per la futura affermazione internazionale dello stile italiano.
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