martedì 1 agosto 2017

Arrestati : il libro-denuncia dell'ex direttore del principale quotidiano turco di opposizione di Can Dündar
La testimonianza dell'ex direttore del più importante giornale turco di opposizione, arrestato per aver pubblicato documenti sgraditi al regime di Erdo?an. La cronaca di tre mesi in una prigione di massima sicurezza, colpevole di aver fatto il proprio mestiere: informare i lettori. Un libro drammaticamente attuale, che permette di comprendere dall'interno la deriva dittatoriale della Turchia e la complessa situazione politica mediorientale.
Arrestati è un resoconto dettagliato – a tratti ironico – degli avvenimenti; dall’ultima riunione di redazione fino al carcere, passando per le udienze in tribunale e i numerosi colloqui con gli avvocati, circa un centinaio. Ma è sorprendentemente anche un manuale denso di espedienti: quelli per sopravvivere all’isolamento della prigione, per riscaldarsi in mancanza di coperte. Perfino quelli per trasformare comuni sacchetti di plastica in lavatrici per il bucato. Ma Dündar si concentra anche su un altro aspetto: qual è il significato intrinseco alla condizione di isolamento: la separazione dal mondo, la limitazione della vita quotidiana e l’imposizione del tempo e dei tempi, la costrizione in spazi limitati e l’omologazione che distrugge la singolarità del soggetto. Il prigioniero è solo un’entità numerica priva di umanità. A salvarlo c’è l’attesa del mondo fuori e – per Dündar – le visite dall’odontoiatra, che lo conducono settimanalmente fuori dal carcere. Arrestati è anche la storia della Turchia: un diario storico fatto di nomi, date, cifre, avvenimenti. Tutto il libro è frutto di una visione lucida e ponderata della pseudo dittatura voluta da Erdogan, analizzata con gli occhi di un giornalista profondamente legato al proprio paese. Per questo non si può definire Arrestati solo come un romanzo di denuncia: è molto più. È un atto di accusa, un manifesto contro la censura e un inno d’amore per la libertà delle idee.
“Cara amica, finalmente di nuovo insieme. Sin dal giorno in cui ho posato la mia prima penna sul foglio, sei stata la mia compagna di viaggio, la mia confidente, la mia intima amica. Tu che hai conquistato il mio primo amore, così come l’ultimo. […] Sei stata tu a pagare la prima rata della mia biblioteca, come il mutuo della mia ultima casa. […] Nella scelta tra scrivere e vivere, ho scelto sempre te”.
Dündar non lascia la sua penna nemmeno per un attimo; durante la prigionia scrive articoli sul retro dei moduli per i pasti, si abbandona a un flusso di coscienza introspettivo che analizza, nelle sue pieghe, il lavoro del giornalista indipendente: cosa vuol dire farlo e quali sono i rischi. Dündar  scrive e riceve lettere da sostenitori, colleghi, intellettuali, si sente tornato indietro di secoli; condivide questa gioia con il suo “controllore”, un uomo preposto a leggere e vidimare la sua corrispondenza. Foglio per foglio, riga per riga. Ma non è questo un freno per lui, né per i mittenti delle lettere.
Più di tutto, e lo esprime magistralmente nel capitolo ad essa dedicato, Dündar recita il suo personale elogio alla scrittura, strumento di espressione ma soprattutto arma di difesa.



recensione di Francesca Del Vecchio

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