Arrestati : il libro-denuncia dell'ex
direttore del principale quotidiano turco di opposizione di Can Dündar
La
testimonianza dell'ex direttore del più importante giornale turco di
opposizione, arrestato per aver pubblicato documenti sgraditi al regime di Erdo?an.
La cronaca di tre mesi in una prigione di massima sicurezza, colpevole di aver
fatto il proprio mestiere: informare i lettori. Un libro drammaticamente
attuale, che permette di comprendere dall'interno la deriva dittatoriale della
Turchia e la complessa situazione politica mediorientale.
Arrestati è un resoconto dettagliato – a tratti ironico – degli avvenimenti;
dall’ultima riunione di redazione fino al carcere, passando per le udienze in
tribunale e i numerosi colloqui con gli avvocati, circa un centinaio. Ma è
sorprendentemente anche un manuale denso di espedienti: quelli per sopravvivere
all’isolamento della prigione, per riscaldarsi in mancanza di coperte. Perfino
quelli per trasformare comuni sacchetti di plastica in lavatrici per il bucato.
Ma Dündar si concentra anche su un altro aspetto: qual è il significato intrinseco alla condizione di isolamento: la
separazione dal mondo, la limitazione della vita quotidiana e l’imposizione del
tempo e dei tempi, la costrizione in spazi limitati e l’omologazione che
distrugge la singolarità del soggetto. Il prigioniero è solo un’entità numerica
priva di umanità. A salvarlo c’è l’attesa del mondo fuori e – per Dündar – le
visite dall’odontoiatra, che lo conducono settimanalmente fuori dal carcere. Arrestati è anche la storia della Turchia: un
diario storico fatto di nomi, date, cifre, avvenimenti. Tutto il libro è frutto
di una visione lucida e ponderata della pseudo dittatura voluta da Erdogan,
analizzata con gli occhi di un giornalista profondamente legato al proprio
paese. Per questo non si può definire Arrestati solo come un romanzo di denuncia: è molto più. È un atto di accusa, un manifesto contro la censura e un inno d’amore per
la libertà delle idee.
“Cara amica,
finalmente di nuovo insieme. Sin dal giorno in cui ho posato la mia prima penna
sul foglio, sei stata la mia compagna di viaggio, la mia confidente, la mia
intima amica. Tu che hai conquistato il mio primo amore, così come l’ultimo.
[…] Sei stata tu a pagare la prima rata della mia biblioteca, come il mutuo
della mia ultima casa. […] Nella scelta tra scrivere e vivere, ho scelto sempre
te”.
Dündar non lascia la sua penna nemmeno
per un attimo; durante la prigionia scrive articoli sul retro dei moduli per i
pasti, si abbandona a un flusso di coscienza introspettivo che analizza, nelle
sue pieghe, il lavoro del giornalista indipendente: cosa vuol dire farlo e
quali sono i rischi. Dündar scrive e riceve lettere da sostenitori,
colleghi, intellettuali, si sente tornato indietro di secoli; condivide questa
gioia con il suo “controllore”, un uomo preposto a leggere e vidimare la sua
corrispondenza. Foglio per foglio, riga per riga. Ma non è questo un freno per
lui, né per i mittenti delle lettere.
Più di tutto, e lo esprime magistralmente nel capitolo ad essa dedicato, Dündar
recita il suo personale elogio alla scrittura, strumento di espressione ma
soprattutto arma di difesa.
recensione di Francesca Del
Vecchio
Nessun commento:
Posta un commento