Non siamo
più noi stessi di Matthew Thomas
Il romanzo abbraccia un arco
temporale amplissimo, dal 1953 al 2011: tutta o quasi la vita della
protagonista, Eileen Tumulty, figlia di immigrati irlandesi, infermiera
professionale, e delle due persone che andranno a costituire il suo nucleo
famigliare: Ed Leary, il marito, professore universitario con la passione per
la ricerca e l’insegnamento, e Connell, il figlio, conteso tra le ambizioni
della madre – che proietta su di lui, oltre che sulla ossessiva ricerca di una
casa di proprietà in un quartiere diverso dal degradato Queens nel quale
trascorre i suoi giorni, le sue ambizioni di ascesa sociale – e il modello del
padre che non intende in alcun modo imporgli un modo di essere o una
prospettiva, lasciandolo libero di trovare la sua strada e di costruirsi
autonomamente il proprio sogno. Thomas rifiuta deliberatamente i tempi
narrativi e il respiro costante e maestoso della grande saga, di stampo
ottocentesco, preferendo procedere per strappi, tra sunti, tagli e
accelerazioni. E divide in ogni caso il romanzo in due metà distinte: una prima
che accompagna Eileen e Ed fino alla soglia dei cinquant’anni; una seconda che
è incentrata sulla malattia di Ed, còlto da Alzheimer precoce, e sul disperato
tentativo, da parte di Eileen come di Connell, di «accogliere» la nuova persona
che hanno accanto, accettando così il dato di fatto richiamato dal titolo
stesso del romanzo: che non solo Ed non è più se stesso, ma per effetto del suo
cambiamento nessuno lo è più, perché la malattia, con il suo retaggio di oblio
e confusione, modifica i ritmi vitali e il modo di stare al mondo di tutti i
personaggi.
«Arriverà un momento in cui non saprai più chi
sono?»
«Io
saprò sempre chi sei. Te lo prometto. Anche se penserai che io non ti conosca,
anche se ti darò quest’impressione. Saprò sempre chi sei. Sei mio figlio. Non
dimenticarlo mai».
Eileen sarà costretta a rivedere
molte priorità e ambizioni e a imparare un altro modo di stare al mondo. Un
percorso, fatto di accettazione e sofferenza, che le consentirà di trovare un’altra
se stessa: né migliore né peggiore rispetto a quella che ha accompagnato il
lettore nella prima parte del romanzo, ma semplicemente diversa.
È proprio nel rifiuto di fare sconti ai suoi personaggi, e nel raccontarne slanci e meschinità, sofferenza e riscatto, che Thomas raggiunge le vette massime della sua scrittura, e partorisce un romanzo che, proprio per il suo non voler essere «soltanto» l’ennesima saga famigliare, lo impone come una voce nuova.
È proprio nel rifiuto di fare sconti ai suoi personaggi, e nel raccontarne slanci e meschinità, sofferenza e riscatto, che Thomas raggiunge le vette massime della sua scrittura, e partorisce un romanzo che, proprio per il suo non voler essere «soltanto» l’ennesima saga famigliare, lo impone come una voce nuova.
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